“Sette spose per sette fratelli” di Kasha & Landay, uno spettacolo di Luciano Cannito, la recensione

SETTE SPOSE PER SETTE FRATELLI

testi di Lawrence Kasha & David Landay | liriche di Johnny Mercer

musica di Gene de Paul | Canzoni aggiunte di Al Kasha e Joel Hirschhorn

traduzione di Michele Renzullo

scene Italo Grassi | costumi Silvia Aymonino | adattamento e coreografie Luciano Cannito

direzione musicale Peppe Vessicchio

Con Diana Del Bufalo, Baz e un ensemble di 22 interpreti (danzatori, cantanti, attori)

Produzione di FDF Entertainment | Roma City Musical | Art Village

regia Luciano Cannito

In scena al Teatro Brancaccio di Roma dal 12 al 30 ottobre

Voto: 8 su 10

Ci sono film in cui ci piacerebbe vivere, tuffarci nello schermo per restare lì, tra quei luoghi, quei colori, quei buoni sentimenti, e non lasciarli mai. Sette spose per sette fratelli, musical straordinario diretto da quel genio di Stanley Donen con le indimenticabili partiture di Gene de Paul e Johnny Mercer e un comparto artistico-acrobatico ancora ineguagliato, è uno di questi. Dal capolavoro cinematografico alla trasposizione teatrale il passo è breve: già portata in scena in passato con Raffaele Paganini, Flavio Montrucchio e Roberta Lanfranchi, la storia di questa battaglia fra sessi ante-litteram tra i monti dell’Oregon nell’old west di fine Ottocento trova nell’allestimento del coreografo e regista Luciano Cannito una delle sue rappresentazioni più efficaci e, al contempo, si conferma uno degli spettacoli musicali più piacevoli delle ultime stagioni teatrali.

L’operazione è felice per varie ragioni, dando per scontata l’infallibilità del materiale d’origine. In primis, spicca per bravura e carisma la protagonista principale, Diana Del Bufalo, proveniente dalla rodata scuderia di Amici di Maria De Filippi e impegnatissima, negli ultimi anni, tra tv e cinema: la giovane attrice romana calibra perfettamente i registri del personaggio di Milly, evitando lezio e facili istrionismi, restituendo un’interpretazione fresca, allegra e avvolta da un cantato degno della nostra migliore tradizione. Alla sua prova si aggiunge l’energia di un ensemble affiatatissimo, chiamato a un compito irto di trappole, fatto tutto di sincronismi e gestione millimetrica degli spazi, gestito al meglio da Cannito in un caloroso gioco di squadra. E le atmosfere sono quelle giuste, ben ricreate da scenografie ambiziose e costumi sgargianti.

Qualcosina funziona meno: la recitazione di Baz, a volte un po’ incerta, non tiene il ritmo con quella della sua partner, e la sequenza del celebre “ratto” andrebbe rivista e resa più agile, così come le nuove canzoni composte ad hoc per la riduzione teatrale tradiscono una modernità melodica che è lontana dalla soavità poetica e davvero senza tempo dell’originale.

In ogni caso, nulla che possa mettere in pericolo un risultato finale decisamente appagante: durante la visione la testa dondola qua e là, i piedi portano il tempo e gli applausi si sprecano. Ci si alza dalla poltrona felici e contenti, col sorriso stampato in viso e con la bella voce di Diana ancora nelle orecchie. Bravi bravissimi, avanti così.

Giuseppe D’Errico

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