RomaFF12 – Selezione Ufficiale: “Last Flag Flying”, un film di Richard Linklater, la recensione

Last Flag Flying (id, Usa, 2017) di Richard Linklater con Bryan Cranston, Steve Carell, Laurence Fishburne, Yul Vázquez, Cicely Tyson, J. Quinton Johnson

Sceneggiatura di Richard Linklater e Darryl Ponicsan, dal romanzo omonimo di Darryl Ponicsan

Drammatico, 2h 05′

Voto: 8 su 10

Darryl Ponicsan è uno di quei tanti nomi che ingiustamente si perdono nella memoria del cinema: scrittore e sceneggiatore di pregio, dal suo romanzo The Last Detail Hal Ashby trasse il cult L’ultima corvè, mentre tra i suoi copioni per il cinema troviamo anche quelli di Pazza e Destini incrociati. Last Flag Flying, l’ultimo film di Richard Linklater, è la trasposizione dell’omonimo libro che Ponicsan diede alle stampe nel 2005 e che ora ha sceneggiato insieme al regista. La grande storia ha fatto il suo corso, i tempi cambiano ma le illusioni restano sempre le stesse, tanto che sullo schermo sembra quasi di rivedere le scorribande di Jack Nicholson e soci del film del 1973, con il quale l’assonanza non è solo nel titolo.

Siamo nel 2003, a più di trent’anni dal servizio prestato in Vietnam, quando l’ex medico della Marina Militare Larry “Doc” Shepherd (Carell) si mette in contatto con due suoi vecchi compagni, il Marine Sal Nealon (Cranston) e il Reverendo Richard Mueller (Fishburne): a loro chiede di accompagnarlo a riscattare il corpo di suo figlio, Marine anche lui, morto giovanissimo nella guerra in Iraq. Secondo il protocollo militare, il feretro dovrebbe essere condotto per una degna sepoltura ad Arlington, nel cimitero riservato agli eroi nazionali in Virginia, ma Doc ha un altro piano in mente.

Grandi temi vengono filtrati attraverso la metafora del viaggio, nel solco della migliore tradizione americana on the road. A dominare è il ricordo di un passato impossibile da cancellare e dolorosamente riflesso in un presente ancora una volta deformato dal falso mito patriottico del “proteggere e servire” e dall’impossibilità di comprendere ogni guerra. Non c’è differenza tra conflitti, che sia in Vietnam o in Iraq la posta in gioco non cambia e ad accomunare padri di ieri e figli di oggi è sempre la costante consapevolezza della morte. Linklater e Ponicsan affrontano il dramma dei reduci colpevoli di essere sopravvissuti all’inferno e la tragedia dei genitori incapaci di elaborare l’assurdità del lutto; lo fanno in maniera esemplare e soprattutto anti retorica, chiarendo l’importanza della verità e la necessità di una bugia, unendo la riflessione struggente a momenti di geniale comicità e lasciando ai tre magnifici interpreti il compito di valorizzare una sceneggiatura impreziosita da dialoghi strepitosi.

Il sapore è quello della free Hollywood, i sentimenti sono tutti figli degli uomini che, oggi più che mai, non hanno più fiducia in quell’ultima bandiera che sventola nel cielo. Dalla collaborazione tra un veterano dei sogni infranti e un maestro dell’intimismo contemporaneo (non dimentichiamoci che Linklater è l’autore della trilogia amorosa dei Prima e dell’acclamato Boyhood) è arrivata una bellissima sorpresa.

Giuseppe D’Errico

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