Hell or High Water (id, Usa, 2016) di David Mackenzie con Jeff Bridges, Chris Pine, Ben Foster, Marin Ireland, Gil Birmingham, Katy Mixon
Sceneggiatura di Taylor Sheridan
Drammatico, 1h 42’
Voto: 6 su 10
Primo film americano dello scozzese David Mackenzie (Follia, Young Adam), già presentato nella sezione Un Certain Regard dell’ultimo festival di Cannes, Hell or High Water è un rabbioso e disperato impasto di generi, che parte dal western e passa per il road movie, fino a toccare le corde di un potente dramma famigliare. A farla da padrone sono i paesaggi sterminati del Texas e il carisma di un grande attore come Jeff Bridges, decisamente a suo agio nei panni di uno sceriffo che dà la caccia a due fratelli che rapinano banche.
Siamo nella profonda provincia americana, quella che decenni orsono veniva gloriosamente cantata dai kolossal di Hollywood e che oggi cede il passo a produzioni più intime e meno altisonanti, con protagonisti non più i grandi latifondisti o i cercatori di petrolio di un tempo, ma dei comunissimi braccianti che crisi e speculazioni hanno lasciato sul lastrico. L’unica speranza per il futuro resta la casa, e per salvarla dai creditori ci si deve sporcare le mani. Toby (un ottimo Chris Pine) è dei due quello più assennato, ha come obiettivo solo il benessere dei figli e per loro è disposto a scendere a patti col crimine; Tanner (Ben Foster, sopra le righe) è la pecora nera della famiglia, un passato da galeotto (cercò di uccidere il padre) e la terribile incoscienza di chi vive costantemente sul bilico dell’abisso. Insieme porteranno a segno una serie di colpi, ma il loro destino gli è stampato in volto sin dai titoli di testa…
La sceneggiatura di Taylor Sheridan, già illustre firma dell’apprezzato Sicario di Denis Villeneuve, era da qualche anno tra i primi posti nella famigerata black list dei testi non ancora prodotti, e un po’ se ne capiscono le ragioni. Pur non essendo propriamente un “film di cowboy”, Hell or High Water calpesta territori ormai estranei al cinema d’intrattenimento di massa. Nonostante un bell’approfondimento sui personaggi e sulle loro ragioni, che aggiunge robustezza a una vicenda piuttosto classica, il film fatica a lasciare un segno preciso nell’immaginario. Se ne apprezza l’inconsueta disillusione, diretto parallelo a una serie di questioni tutte contemporanee (speculazioni, pignoramenti, truffe), sono spassosi alcuni dialoghi affidati a un Bridges serafico e sornione, si riconoscono le musiche di Nick Cave e Warren Ellis; ma poco di più rispetto alla marea di opere simili che l’hanno preceduto. Resta un film compatto, con almeno un’intuizione davvero azzeccata, quella sull’uso dilagante delle armi in America.
Giuseppe D’Errico
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