RoboCop (id, Usa, 2014) di José Padilha, con Joel Kinnaman, Gary Oldman, Abbie Cornish, Michael Keaton, Jennifer Ehle, Jackie Earle Haley, Samuel L. Jackson, Michael K. Williams, Jay Baruchel, Patrick Garrow, Marienne Jean Baptiste
Sceneggiatura di Joshua Zetumer, Edward Neumeier, Michael Miner
Fantascienza, 2h, Warner Bros. Pictures Italia, in uscita il 6 febbraio 2014
Voto: 6 su 10
Che cosa succede quando un talentuoso regista di nicchia si cimenta con un blockbuster hollywoodiano? Succede che il risultato finale non è né carne né pesce, e rischia di scontentare sia il pubblico cinefilo che quello affamato di intrattenimento. È il caso di questo remake di RoboCop del brasiliano José Padilha, Orso d’Oro a Berlino per Tropa de Elite, il cui celebre originale del 1987 decretò il successo in suolo statunitense dell’olandese Paul Verhoeven, noto prima di allora per alcune spaventose pellicole a base di sesso e sangue.
Più dimesso, ma non meno efficace da un punto di vista spettacolare, il buon Padilha, che rappresenta come meglio può l’avventura del poliziotto Alex Murphy (lo svedese Kinnaman), scampato a un attentato fuori casa, nella Detroit invasa dalla delinquenza del 2028; grazie alle cure scientifiche del dottor Norton (Oldman), lo sbirro è ancora in vita, ma per tre quarti in forma robotica. Il magnate (Keaton) di una multinazionale di tecnologie avanzate vorrebbe farne il prototipo di un cyborg da vendere sul mercato come difesa dalla criminalità dilagante, ma Murphy ha ancora cuore e famiglia, e vuole sgominare la banda di corrotti che ha tentato di ucciderlo.
Il film parte bene, affanna nel mezzo e scivola in un finale scontatissimo. Francamente non ci si aspettava chissà cosa dall’ennesimo remake di un cult del passato, e ancora una volta non si può far altro che registrare l’inutilità di simili operazioni, se si esclude il versante puramente economico (e, anche in questo caso, ci sarebbe da domandarsi quanto potrà mai incassare un tale ibrido). Tutto sommato divertente, sebbene sembri, a tratti, di assistere a un lungo documentario sui prodigi scientifici dei ricercatori americani (i dilemmi etici e morali sono solo un pretestuoso paravento). La seriosità è eccessiva, la satira finale – affidata all’anchorman americanoide Samuel L. Jackson – arriva gradita ma in ritardo, l’evidente tentativo di imitare il nuovo filone cinematografico sui supereroi è stonato, gli interpreti non hanno l’aria di essere troppo interessati al progetto. Il dispendio di energie ed effetti speciali è generoso e, almeno i fedelissimi dell’action non resteranno delusi.
Giuseppe D’Errico
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