“American Sniper”, il soldato di Eastwood non è semplice propaganda

American Sniper (id, Usa, 2015) di Clint Eastwood con Bradley Cooper, Sienna Miller, Luke Grimes, Jake McDormand, Navid Negahban, Keir O’Donnell, Eric Close

Sceneggiatura di Jason Hall, dall’omonima autobiografia di Chris Kyle, scritta con Scott McEwen e Jim DeFelice

Biografico, 2h 14′, Warner Bros. Pictures Italia, in uscita il 1° gennaio 2015

Voto: 7½ su 10

Liquidare American Sniper, l’ultimo film dell’inossidabile Clint Eastwood (84 anni e oltre 50 film diretti), come bieca propaganda bellica, equivarrebbe a commettere lo stesso errore, al contrario, che si imputa al grande regista americano. Scavando più a fondo nel progetto, si scopre che la sceneggiatura (monocorde e didattica, firmata Jason Hill) doveva essere tradotta in immagini da Steven Spielberg, per poi passare solo in un secondo momento a Eastwood, proprio a ridosso dell’improvvisa morte di Chris Kyle, il navy seal che, nel corso di quattro spedizioni durante la guerra in Iraq, eliminò 160 bersagli nemici, salvando la vita a migliaia di marines e divenendo il cecchino più letale nella storia degli Stati Uniti.

American_Sniper_posterIl film è la storia di una missione di guerra vista attraverso il mirino di questo soldato (interpretato da un massiccio e nervoso Bradley Cooper) che, in buona fede e con la semplicità di un essere umano vissuto nel mito della protezione, vuole battersi per il bene del suo paese. Non c’è la strategia politica, né i fatti visti dalla parte del nemico. Visto in quest’ottica, American Sniper è l’angoscioso resoconto di un fanatismo intrinseco e responsabile, quello di Kyle e di un’America che ha bisogno di eroi. D’altro canto, è facile stigmatizzare la deontologia guerrafondaia di un regista fieramente repubblicano, fedele a uno sviluppo manicheo e giustizialista dei personaggi sin dai tempi dei western e dell’ispettore Callaghan.

Eppure, al netto di una vicenda famigliare francamente superficiale, con la moglie gravida e spaventata dai traumi da reintegramento in società del marito (ne fa le spese una incolpevole Sienna Miller), c’è il racconto secco e umano di chi la guerra non la auspicherebbe mai. C’è talmente tanto dolore in questo film, e così poca retorica, che davvero si corre il pericolo di confonderlo per un manifesto ideologico astutamente calcolato. E invece è “solo” il punto di vista di un assassino per la patria, che è stato anche un buon marito e padre: etica pericolosa ed estremamente delicata (anche alla luce del recente attentato terroristico di Parigi), in perenne procinto di piombare nella demagogia fascista. Senza preconcetti, con un giudizio maturo e la volontà di andare oltre le apparenze, si potrà apprezzare uno dei migliori Eastwood degli ultimi anni, con pagine di cinema altissime e qualche innegabile scivolone (Clint, perché la telefonata finale alla moglie nel bel mezzo di uno scontro cruciale?).

Giuseppe D’Errico

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