FREEZERDANCE STUDIO presenta
PROCESSO A PINOCCHIO
Una psico commedia noir a carattere musicale
con Cristian Ruiz, Danilo Brugia, Brian Boccuni, Debora Boccuni, Elena Nieri, Nadia Straccia
costumi e allestimento scenico Bianca Borriello
luci e direzione tecnica Daniele Ceprani
movimenti coreografici Debora Boccuni
aiuto regia Valeria Monetti
musiche Marco Spatuzzi
scritto e diretto da Andrea Palotto
In scena al Teatro Salone Margherita di Roma fino al 3 maggio
Voto: 7 su 10
Il musical italiano, salvo affidarsi a progetti esteri riallestiti (è molto atteso il nuovo Billy Elliot di Piparo, che però viene dall’Inghilterra e con le musiche di Elton John), non gode di grande fortuna. Per questo i tentativi di riportare il genere ai livelli che onorarono il nostro teatro negli anni passati sono da sempre accolti con estrema fiducia. Il piacere è doppio quando tale fiducia è ricambiata dal risultato finale. È il caso di questo Processo a Pinocchio, una psico commedia noir a carattere musicale – come da volere dell’autore Andrea Palotto, lo stesso de “L’ultima strega” – che, non tanto per la storia quanto per la cura della messa in scena, non sfigurerebbe affatto con produzioni più blasonate.
Inizia come Dolores Claiborne (il protagonista Pino brandisce un martelletto da battitore d’asta al posto del mattarello dell’eroina kinghiana, mentre ai suoi piedi giace il cadavere del suo psicanalista), prosegue come una tipica indagine in stile Cluedo, con tanto di colori predominanti a contraddistinguere i personaggi coinvolti nella scena del crimine, e termina col più classico dei capovolgimenti psichiatrici. Il giallista di lungo corso, infatti, non tarderà ad individuare subito la soluzione dell’intrigo, ma accanirsi su un tale dettaglio equivarrebbe a fissare il dito che punta la luna.
Lo spettacolo è di estrema gradevolezza, frenetico nel ritmo (a rischio di mandare in confusione lo spettatore) e vivace nell’ironia, con un delineamento perfetto delle pedine dell’intreccio (la ninfo-cleptomane, la sposa bipolare e parolacciara, il gay d’azzardo, la mamma castrante) e un protagonista il cui status è sempre messo in crisi dal carisma delle spalle. Preparatissimi gli interpreti (solo Brugia leggermente impacciato), splendide le voci e trascinanti alcuni numeri (quelli di Brian Boccuni e della Straccia) con musiche dal vivo, in un palco colorato come un incubo pop e con lo stesso Ruiz che sembra più il bimbo del flashback di Profondo rosso che non il bugiardo Pinocchio. La trovata delle poltrone puff in tinta come moto perpetuo finale, oltre ad avere un senso alla luce del colpo di scena, ha una resa emotiva insperata. Il tutto in 90 civilissimi minuti. Un “processo” che lascia ben sperare!
Giuseppe D’Errico
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