Passioni e desideri (360, GB, 2011) di Fernando Meirelles, con Jude Law, Rachel Weisz, Anthony Hopkins, Ben Foster, Lucia Siposova, Gabriela Marcinkova, Moritz Bleibtreu, Johannes Krisch, Jamel Debbouze, Danica Jurcova, Vladimir Vdovichenkov, Marianne Jean Baptiste, Maria Flor, Juliano Cazarre, Mark Ivanir
Sceneggiatura di Peter Morgan, ispirato al dramma “Girotondo” di Arthur Schnitzler (ed. Einaudi)
Drammatico, 1h 52’, BiM Distribuzione, in uscita il 20 giugno 2013
Voto: 6½ su 10
Avevamo lasciato Fernando Meirelles, il pluripremiato regista brasiliano di City of God e The Constant Gardener, fermo al 2008, anno dello sfortunatissimo Blindness tratto da Saramago. Lo ritroviamo adesso con questo 360 (distribuito in Italia con due anni di ritardo con l’anonimo titolo Passioni e desideri), ispirato al Girotondo di Schnitzler, già trasposto al cinema da Max Ophuls (La Ronde, 1950) e Roger Vadim (Il piacere e l’amore, 1966).
Un manager inglese (Law), a Vienna per un congresso, cede all’appuntamento con una escort (Siposova) ma poi si pente; sua moglie (Weisz), a Londra, ha una relazione con un fotografo (Cazarre) molto più giovane di lei; su un volo verso Phoenix, un anziano (Hopkins), alla ricerca della figlia scomparsa, fa la conoscenza di una giovane brasiliana (Flor), appena tradita dal fidanzato (Cazarre); all’aeroporto, un ex stupratore (Foster) incontra casualmente una ragazza (Flor) ma teme di non riuscire a reprimere i suoi impulsi; a Parigi, un dentista algerino (Debbouze) non riesce a dichiararsi alla sua assistente (Jurcova), che pure è innamorata dio lui; suo marito (Vdovichenkov), autista per un sicario russo (Ivanir), conosce la sorella (Marcinkova) della escort (Siposova) con cui il suo capo si sta intrattenendo.
Il senso è chiaro: spesso le passioni portano l’uomo a seguire strade che esulano dai reali desideri che nutre. L’ansia del guadagno facile, il richiamo della carne, il ricordo incessante di chi non c’è più, la rigidità di un credo, sono tutti fattori che distolgono l’attenzione da un fine di amorosa serenità, sia essa il talamo coniugale o il miraggio di una nuova vita.
La sceneggiatura dell’eccellente Peter Morgan (The Queen, Frost/Nixon) riesce con grande leggerezza a sfiorare i nodi tra una storia e l’altra, mettendone in risalto i risvolti più scottanti, convince meno la regia del brasiliano Meirelles, sebbene raffinata, incapace di liberarsi da una frammentarietà programmatica, a base di split screen e giochi cromatici (complice l’austera fotografia invernale di Adriano Goldman) che aveva già mostrato parecchi limiti nelle opere analoghe di Iñarritu (Babel) e Arriaga (The Burning Plain).
Il carnevale umano non riesce a guadagnarsi un posto nella memoria dello spettatore, troppo composto e risaputo nel suo algido scorrere in tondo, nonostante l’ottima squadra di interpreti e un affascinante uso delle musiche. Il cerchio si chiude nel rischio di un buco nell’acqua.
Giuseppe D’Errico.
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