Pasolini (id, Usa/Italia, 2014) di Abel Ferrara con Willem Dafoe, Adriana Asti, Ninetto Davoli, Riccardo Scamarcio, Maria De Medeiros, Valerio Mastandrea, Andrea Bosca, Damiano Tamilia, Francesco Siciliano, Roberto Zibetti, Giada Colagrande, Salvatore Ruocco
Sceneggiatura di Maurizio Braucci, da un soggetto di Abel Ferrara e Nicola Tranquillino
Drammatico, 1h 27′, Europictures, in uscita il 25 settembre 2014
Voto: 3 su 10
Le ultime 24 ore di vita di Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale più controverso, dirompente e scomodo del Novecento italiano. A raccontarle, fondendo cronaca e suggestioni artistiche, è l’altrettanto discusso Abel Ferrara, regista maledetto dalla carriera vertiginosamente instabile, tra capolavori moderni (Il cattivo tenente, Fratelli, The Addiction) e delusioni da dimenticare (Go Go Tales).
Nessun intento agiografico, per fortuna, ma la percezione di un profeta lucidissimo che scende ogni giorno all’inferno, provando sulla propria pelle gli effetti di una devastazione sociale che di lì a poco avrebbe avuto effetti irreversibili. È in questo frangente che il film di Ferrara, allontanando ogni voglia di retroscena e rivelazioni sulla morte dello scrittore, dimostra la sua sincerità nei confronti del personaggio Pasolini, affidato alla mimesi di un Dafoe sempre all’altezza e alla cura maniacale per i luoghi frequentati, gli abiti autentici e gli arredi casalinghi.
Il progetto implode, invece, quando il regista italo-americano è chiamato a misurarsi con la complessità immaginativa della penna pasoliniana, quella del romanzo-saggio Petrolio e del copione di Porno-Teo-Kolossal, produzione mai avviata che avrebbe dovuto vedere coinvolti Edoardo de Filippo e Ninetto Davoli. Qui il film dimostra tutti i suoi limiti: didascalico, volgare, pedante e anti-pasoliniano. A minare ulteriormente la solidità dell’opera c’è un imbarazzante melting pot di lingue e accenti vari, dovuto alla presenza di un attore americano nel ruolo principale, che porta Pasolini a parlare in inglese nell’ultima intervista rilasciata a Furio Colombo, in italo-inglese con parenti e amici, e in uno stentatissimo italiano con Pino Pelosi. Ci sono, poi, tante altre sgradevoli incongruenze (Ninetto Davoli che, nel film nel film, regge il ruolo di De Filippo recitando in romanesco, mentre a Scamarcio spetta la parte del giovane Ninetto ma con parlata napoletana) e una insistita rincorsa al mascherone macchiettistico, da Laura Betti interpretata da Maria De Medeiros, che si aggira per casa ululando con enorme bocchino, piume e vestaglia nera, ai ragazzi di vita tutti con giubotto di pelle e capelli scuri e ricci, fino all’aria musicale della Callas utilizzata nel climax finale, a confermare la sensazione di un opera diseguale, mal composta e inopportuna.
Giuseppe D’Errico
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