“Money Monster”, impianto classico nel buon thriller di denuncia della Foster

Money Monster – L’altra faccia del denaro (Money Monster, Usa, 2016) di Jodie Foster con George Clooney, Julia Roberts, Jack O’Connell, Dominic West, Giancarlo Esposito, Caitriona Balfe, Christopher Denham

Sceneggiatura di Jamie Linden, Alan DiFiore, Jim Kouf

Thriller, 1h 38’, Warner Bros. Pictures Italia, in uscita il 12 maggio 2016

Voto: 7 su 10

Anni fa, ai tempi del discutibilissimo Il buio nell’anima, Jodie Foster venne intervistata dalla televisione italiana e, alla domanda su quale fosse il film che preferiva tra quelli interpretati nella sua splendida carriera, l’attrice rispose senza pensarci troppo Taxi Driver, dove vestiva i panni di una prostituta appena quindicenne, perché, disse, è un film classico. Non Sotto accusa o Il silenzio degli innocenti, che le procurarono ben due premi Oscar, ma Taxi Driver, il capolavoro del 1976 diretto da Martin Scorsese. C’è molto cinema degli anni Settanta anche in Money Monster, sua quarta esperienza registica dopo l’incerto Mr. Beaver (2011), un thriller d’impianto tradizionale sul modello scolpito da Sidney Lumet con opere come Quinto potere e Quel pomeriggio di un giorno da cani.

La struttura classica deve stare molto a cuore alla Foster regista, ed è la sua forza. Il film, con un tema di scottante attualità come quello della crisi economica contemporanea e della finanza d’azzardo, ci porta all’interno di uno studio televisivo, dove il conduttore (Clooney) di una trasmissione satirica su scommesse e investimenti viene preso in ostaggio, in diretta tv, da un ragazzo (O’Connell) che, proprio a causa di un suggerimento mal fondato ascoltato durante lo show, ha perso tutto. La producer (Roberts) in cabina di regia cercherà di salvargli la vita, ma a venire a galla sarà un verità molto scomoda.

Money Monster, all’interno della sua denuncia verso i facili investimenti che si traducono in bolle algoritmiche senza via d’uscita, propone anche una dura critica al potere del piccolo schermo, capace di influenzare il pubblico spesso in modo rischioso. Tutto all’interno di un thriller tesissimo e dal ritmo forsennato, cui purtroppo nuoce la costruzione narrativa in tempo reale, che esaspera le conclusioni in maniera poco realistica. È solido cinema hollywoodiano, con tutta la sua esperienza spettacolare e il suo carico (stavolta non troppo fastidioso) di retorica, con due divi in palla (Roberts più controllata di Clooney), un ottimo soggetto e una regia decisamente padrona della storia. Nulla di nuovo, nulla di memorabile ma sano e godibilissimo mestiere.

Giuseppe D’Errico

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