“Midsommar – Il villaggio dei dannati”, un film di Ari Aster, la recensione

Midsommar – Il villaggio dei dannati (Midsommar, Usa, 2019) di Ari Aster con Florence Pugh, Jack Reynor, Will Poulter, William Jackson Harper, Vilhelm Blomgren, Julia Ragnarsson, Anna Åström, Archie Madekwe, Ellora Torchia

Sceneggiatura di Ari Aster

Horror, 2h 27’, Eagle Pictures, in uscita il 25 luglio 2019

Voto: 6 su 10

Bisogna riconoscere ad Ari Aster un gran senso del disagio. C’è un particolare di Midsommar (ignoriamo volutamente il sottotitolo appioppato dalla distribuzione italiana), un’intuizione visiva, che persiste lungo tutta una fastidiosissima e disorientante sequenza che segue a una forsennata competizione di danza: un fiore in una ghirlanda, ansimante, boccheggiante, che apre e chiude la sua corolla rivelando un abisso nero al suo interno, distoglie il nostro sguardo dalla protagonista, appena incoronata “regina di maggio” e agghindata come una santa in processione, per ossessionarci col suo angoscioso moto perpetuo. Dettaglio tra i dettagli, sempre più perturbanti, in un’atmosfera generale di temibile minaccia, che fanno dell’opera seconda del regista di Hereditary uno dei film più sgradevoli e opprimenti dell’anno. Un risultato a suo modo notevole, ma ciò non implica che Midsommar sia anche un film riuscito.

Infatti, tutti i limiti del suo esordio – imponente ricercatezza formale al netto di un concetto di scrittura derivativo e inconcludente – trovano posto in modo ancor più ridondante in questo interminabile sballo psicotropo in cui Aster, classe 1986, dà fondo alle sue ambizioni spiccatamente autorali all’interno di campionario cinematografico che trova il modello più evidente nel cult The Wicker Man di Robin Hardy (ma c’è anche il nostro Ruggero Deodato). Ovviamente, il problema qui non è il citazionismo, talmente smaccato da trasformarsi quasi in amore reverenziale, quanto piuttosto nell’appiattimento pressoché totale del preciso genere a cui fa riferimento, l’horror antropologico, a un girotondo asfittico di elementi disturbanti, messi in fila con irritante ostentazione all’interno di un racconto che gira a vuoto.

A un’introduzione buia e luttuosa di grande effetto drammatico, segue un film che, fino agli ultimi istanti, sarà caratterizzato da una luminosità quasi insostenibile, in contrasto con la tradizione che vorrebbe l’oscurità come antro delle paure umane. La giovane Dani (Florence Pugh, già bravissima in Lady Macbeth) tenta di sopravvivere a un’immane tragedia famigliare unendosi al fidanzato Christian (Jack Reynor), che non la ama più, e a tre suoi amici universitari per un viaggio-studio alla volta di un villaggio della Svezia chiamato Hårga, in cui persistono antichissime usanze rurali e prossimo ai festeggiamenti per il solstizio d’estate. Il soggiorno dei ragazzi, tuttavia, non sarà dei più sereni: ritualità cadenzate, sortilegi endogamici (peli pubici nei pasticciotti di carne!) e sacrifici umani per rinnovare la propria genìa, trasporteranno i malcapitati in un vero incubo, con grande ribalta per le ossessioni del regista, elaborazione del lutto e deformità fisiognomica in primis.

Sempre con un piede ben piantato nel respingente, ma questa volta in modo decisamente efficace, e l’altro nel grottesco più spinto, senza temere le derive nel ridicolo che pure non mancano, Midsommar abbandona presto l’alibi intimista (il ritrovarsi di una coppia in crisi, il disturbo post traumatico da stress di Dani e la sua depressione latente) per risolversi in una danza macabra di mezza estate fatta di culti tribalici, deliri collettivi e cerimonie ancestrali. Aster si serve magnificamente dell’assolato paesaggio scandinavo, dimostrando di possedere un gusto raro nella costruzione dell’inquadratura migliore per disorientare le percezioni dello spettatore; al contempo, però, delude quando si dimostra palesemente incapace di coniugare questa continua e fruttuosa ricerca estetica a un comparto narrativo alla sua altezza, portando l’azione a ristagnare senza ritegno e incappando in un effetto stonato che ha il sapore dell’autocompiacimento.

Il film resta così una sorta di bizzarro-festival di follie e depravazioni assortite, tanto opprimente e martellante nel non mollare mai la presa del disagio dello spettatore, quanto povero e sconclusionato quando vorrebbe dare un senso alla scalata di orrore che mette in mostra, con buona pace per l’abnegazione con cui si sono prestati alla causa i due coraggiosi protagonisti, una Florence Pugh sempre più pazza e infiorata e il povero Jack Reynor, costretto a copulare attorniato da vecchie babbane urlanti.

Non stupisce che il film abbia mandato in visibilio un altro neo-vate dell’horror contemporaneo, quel Jordan Peele che, così come Aster, pare stia riequilibrando i canoni del genere sulla satira sociale, senza rinunciare a pesanti dosi di umorismo spesso fuori luogo; anche nel suo caso, siamo più vicini alla fuffa narcisitica che al gioiellino, ma almeno Midsommar (a differenza dell’acclamatissimo Noi) evita strizzatine d’occhio e rimane fedele fino in fondo alla presunzione del suo intento: rovinarci la giornata.

Giuseppe D’Errico

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