Loving Vincent (id, GB/Polonia, 2016) di Dorota Kobiela e Hugh Welchman con Douglas Booth, Saoirse Ronan, Jerome Flynn, Robert Gulaczyk, Helen McCrory, Chris O’Dowd, John Sessions, Eleanor Tomlinson, Aidan Turner
Sceneggiatura di Dorota Kobiela, Hugh Welchman, Jacek von Dehnel
Animazione, 1h 35′, Nexo Digital/Adler Entertainment, solo il 16-17-18 ottobre 2017
Voto: 7½ su 10
L’infelice vita di Vincent van Gogh non è certo materia nuova per il cinema, in molti hanno portato il suo tormento sul grande schermo e, tra tutti, resta ancora oggi memorabile il fiammeggiante tributo che, nel 1956, gli dedicò Vincente Minnelli nel film Lust for Life (in Italia Brama di vivere), dove il pittore olandese era interpretato, in uno straordinario lavoro di mimesi recitativa, dal grande Kirk Douglas. Tanto geniale quanto incompreso, affetto da terribili turbe mentali e oppresso dal senso di colpa verso il fratello Theo che lo manteneva in cura, la breve esistenza di van Gogh terminò il 29 luglio del 1890 a 37 anni, in circostanze mai del tutto chiarite, a seguito di una ferita d’arma da fuoco al ventre, non si sa se autoinflitta.
Proprio a partire da questa morte, e dallo studio della corrispondenza privata, prende le mosse il film di Dorota Kobiela e Hugh Welchman Loving Vincent – dal modo che l’artista usava per firmare le sue missive – che segue l’indagine del giovane Armand Roulin (Booth), incaricato dal padre postino di recapitare una lettera a Theo van Gogh, a quasi un anno dal possibile suicidio del fratello. Armand si reca a Parigi ma, non riuscendo a rintracciare Theo, intraprende una ricerca che lo porterà ad incontrare persone e luoghi fondamentali nella vita di Vincent, scoprendone così la vita tormentata, l’estro artistico disperato e la rivoluzionaria opera che è stato in grado di produrre.
Così come rivoluzionario è questo gioiello d’animazione completamente dipinto su tela: la storia è raccontata, dal punto di vista visivo, come se ogni fotogramma fosse un quadro animato del pittore. L’effetto è prodigioso e, nonostante la debolezza di una narrazione che pecca di una rigida schematicità, si fatica a restare indifferenti di fronte a una tecnica così elaborata e mai vista prima. Si parla di oltre mille dipinti rielaborati tramite rotoscope sulle riprese dal vivo degli attori coinvolti, e riadattati su alcuni dei soggetti più rappresentativi di van Gogh, per un totale di più di 65 000 fotogrammi realizzati da 125 artisti provenienti da varie parti del mondo. Attraverso i quadri che prendono vita, si realizza anche il sogno di Vincent, ossia portare il movimento nell’arte e sublimare l’ardore del sentimento in un continuo moto vitale. Basta provare a fissare uno stesso punto per più secondi, o semplicemente ammirare lo sguardo mosso dalla commozione di Saoirse Ronan per capire di cosa parliamo. Uno degli omaggi più belli ed emozionanti che si potessero escogitare per celebrare il genio incommensurabile di van Gogh.
Giuseppe D’Errico
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