“L’inganno”, un film di Sofia Coppola, la recensione

L’inganno (The Beguiled, Usa, 2017) di Sofia Coppola con Nicole Kidman, Colin Farrell, Kirsten Dunst, Elle Fanning, Oona Laurence, Angourie Rice, Addison Riecke, Emma Howard

Sceneggiatura di Sofia Coppola, dal romanzo “A Painted Devil” di Thomas Cullinan

Drammatico, 1h 31’, Universal Pictures International Italy, in uscita il 21 settembre 2017

Voto: 6 su 10

Buona regola sarebbe non fare confronti tra rifacimento e originale, ogni opera dovrebbe avere il diritto di poter vivere di vita propria e di potersi esprimere secondo le intenzioni e la sensibilità del suo autore, al di là del pregresso che lo stesso soggetto può aver avuto. Spesso però i paragoni si fanno inevitabili, soprattutto se l’archetipo è considerato un capolavoro a tutti gli effetti. L’inganno di Sofia Coppola, più che il remake del meraviglioso La notte brava del soldato Jonathan diretto da Don Siegel nel 1971, è la rilettura in chiave femminile del romanzo “A Painted Devil” di Thomas Cullinan, da cui entrambi i film sono tratti.

53727Il racconto è ambientato in Virginia, sul finire della guerra di secessione americana, e si svolge quasi interamente all’interno di un istituto educativo per signorine, presieduto dall’irreprensibile e severa Miss Martha (Kidman). La più giovane delle collegiali trova nei boschi un soldato nemico ferito (Farrell) che, una volta varcata la soglia della magione, diverrà l’oggetto di una sotterranea contesa tra donne, ma desideri e rivalità avranno conseguenze fatali.

Il libro, edito nel 1966, fa parte del filone gotico del profondo sud americano (southern gothic), una particolare narrativa nata da una costola della grande letteratura civile delle piantagioni di cotone, e declinatasi, poi, in un genere che riecheggia al terrore settecentesco: sono storie che fanno leva su elementi grotteschi, con la tendenza a insinuare il mistero attraverso situazioni violente e paradossali, spesso innescate da fobie religiose e sessuali, il tutto in una cornice fortemente realista. Il film di Siegel, accolto male ai tempi e accusato ingiustamente di misoginia, fa sue queste caratteristiche, traducendole visivamente in un’opera caustica e baroccheggiante, nel solco di una cinematografia che aveva alle spalle titoli come Piano… piano, dolce Carlotta e Riflessi in un occhio d’oro, senza contare i debiti verso i drammi carichi di tensioni sociali di Tennessee Williams e Lillian Hellman.

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Sofia Coppola, invece, dall’alto di un fiero disinteresse verso la costruzione di un’assetto misterico della vicenda, è più attratta dal capovolgimento dei ruoli canonici dell’epoca, che vorrebbero la figura femminile sottomessa al maschio predatore, e imbastisce un teatro d’interni a lume di candela per farne un nuovo giardino delle vergini omicide. Le dinamiche psicologiche che sostengono L’inganno ricordano molto il film d’esordio della regista: più che l’atmosfera rarefatta e l’ambientazione in puro stile horror gothic, contano le strategie muliebri per l’autodeterminazione sull’uomo passivo, restituite a suon di occhiatacce sinistre tra l’altera Kidman e la dimessa Dunst, con l’inserimento incontrollabile della ninfetta Fanning.

L’aver concentrato ogni attenzione sul ribaltamento di ottica (in Siegel il punto di vista era quello dello yankee approfittatore interpretato da Clint Eastwood) produce, però, lo smottamento del versante più morboso della storia, che si perde per lasciare spazio allo studio di un gineceo costretto a fare i conti con il proprio mondo chiuso e routinario, dove l’elemento maschile non è altro che un espediente tutt’altro che diavolesco. Il risultato finale paga un eccesso di compostezza nei confronti del soggetto originale, l’impressione è quella di un film splendidamente algido, compassato, senza nerbo, quasi che Cullinan sia stato piegato alle esigenze un po’ inconsistenti della regista, che dirige il tutto con stile controllato e asettico. Ciò non le ha impedito di essere premiata per la Migliore Regia all’ultimo Festival di Cannes, ma il confronto con Don Siegel resta ingrato.

Giuseppe D’Errico

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