Life – Non oltrepassare il limite (Life, Usa, 2017) di Daniel Espinosa con Jake Gyllenhaal, Rebecca Ferguson, Ryan Reynolds, Hiroyuki Sanada, Ariyon Bakare, Olga Dihovichnaya
Sceneggiatura di Paul Wernick, Rhett Reese
Fantascienza, 1h 43’, Warner Bros. Entertainment Italia, in uscita il 23 marzo 2017
Voto: 6 su 10
A dispetto del titolo, di evocativa umanista pur nella sua genericità, Life – Non oltrepassare il limite si rivela il più classico degli horror spaziali. Sia chiaro, non è necessariamente un demerito, ma l’essere sfuggiti in maniera così categorica a ogni suggestione autoriale, su un tema come quello delle nuove forme di vita oltre a quella terrestre che da sempre interroga il genere fantascientifico, rappresenta comunque un’occasione persa.
Il set, rigorosamente in assenza di gravità, è quello di una stazione spaziale internazionale, il cui equipaggio (tra loro, Gyllenhaal, Ferguson e Reynolds) sta per tornare sulla Terra dopo aver fatto una scoperta destinata a cambiare le sorti della Storia: nel laboratorio di bordo, infatti, è custodita una preziosissima forma di vita proveniente da Marte. Il piccolo essere, però, si dimostrerà ben più intelligente e famelico del previsto, mettendo presto a dura prova la sopravvivenza dell’intero gruppo di lavoro e non solo…
Dirige Daniel Espinosa, che al suo attivo aveva i modesti Safe House e Child 44, con il team Wernick-Reese di Deadpool in sede di scrittura e una confezione produttiva che annovera anche un grande direttore della fotografia come Seamus McGarvey (Espiazione, Animali notturni): la macchina spettacolare non ha un bullone fuori posto e l’intrattenimento, per quanto al sapore ingenuo di pop corn, è indubbiamente serrato.
Si capisce che al regista svedese di origini cilene sarebbe piaciuto fare un nuovo Gravity e, dal punto di vista degli effetti speciali, poco ci è mancato che ne replicasse quel senso di spaesata claustrofobia. Ma il limite sta proprio qui: il film, infatti, non è che una pedissequa riproposta di codici cinematografici ben piazzati, senza alcun reale nuovo apporto al genere di riferimento. In più, la sceneggiatura fatica a evitare scivoloni e cadute nel ridicolo involontario. Il risultato, per quanto efficace in termini di mera fruizione scenica, è debolissimo se confrontato con le opere alle quali vorrebbe affiancarsi. In poche parole, le emozioni ci sono solo per chi non ha mai visto Alien (1979): il panico e l’angoscia erotica di Ridley Scott hanno lasciato il posto a un gioco di strategia abbastanza stantìo che, pur contro ogni logica, ha almeno l’ardire di evitare i toni conciliatori nel finale.
Giuseppe D’Errico
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