“Legend”, Hardy si sdoppia per i gemelli Kreys ma il film è fiacco

Legend (id, GB, 2015) di Brian Helgeland con Tom Hardy, Emily Browning, Taron Egerton, David Thewlis, Colin Morgan, Tara Fitzgerald, Cristopher Eccleston, Chazz Palminteri, Duffy

Sceneggiatura di Brian Helgeland, dal romanzo “The Profession of Violence: The Rise and Fall of the Kray Twins” di John Pearson

Biografico, 2h 12′, 01 Distribution, in uscita il 3 marzo 2016

Voto: 6 su 10

Non nuova al grande schermo, la leggenda dei due gemelli Kray torna al cinema venticinque anni dopo The Krays – I corvi di Peter Medak, dove i due gangster dell’East End di Londra erano interpretati da Martin e Gary Kemp della pop band Spandau Ballet. In Legend, diretto dallo sceneggiatore premio Oscar di L.A. Confidential e Mystic River Brian Helgeland, Ronald e Reggie Kray hanno il volto di Tom Hardy, impegnato in una doppia performance ad altissima richiesta carismatica che salva in extremis il film dalle secche di una narrazione piena di squilibri.

UK-1$-Main_Lon_AW_[27736]-LegendNulla di nuovo sotto il fronte del genere gangsteristico, ma ancora una classica ascesa e caduta di due temibili criminali, rispettati dalla comunità, titolari di un rinomato night club e in lotta per la supremazia della città ai tempi della Swinging London; Ronnie è affascinante, razionale e con un gran fiuto per gli affari, Reggie è un omosessuale (“attivo, non sono frocio!”) violento e affetto da turbe mentali. La loro storia è raccontata dalla fidanzata di Ronnie, la giovanissima Frances Shea (Browning), punto di vista esterno ai giochi di potere ed elemento chiave della loro rovina.

Helgeland, che della scrittura ha sempre fatto il suo punto di forza, questa volta non ha ben chiaro cosa voler (o dover) narrare: si concentra eccessivamente sulla storia d’amore, senza per altro caratterizzarla mai in tono sensuale o trascinante; non approfondisce adeguatamente il rapporto fraterno tra i due gemelli, limitandosi a una scazzottata catartica che ristabilisca un legame di sangue senza spessore; perde di vista il romanzo criminale, tra brusche ellissi temporali (tutta la parte finale è risolta con modi assolutamente spicci) e una suspense pari allo zero. Cosa resta? Un bell’affresco d’epoca in una confezione di sicuro mestiere. Un po’ poco, se non fosse che Tom Hardy, con la sua doppia prova, regala al film quella forza che manca a tutto il resto.

Giuseppe D’Errico

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