LA RICOTTA
di PIER PAOLO PASOLINI
con ANTONELLO FASSARI e Adelchi Battista
regia ANTONELLO FASSARI
progetto musicale Lele Marchitelli
produzione GOLDEN ART PRODUCTION e MIND PRODUCTION
Teatro Ghione di Roma fino al 28 febbraio
Voto: 7½ su 10
Tratto da un racconto (1963) di Pier Paolo Pasolini, e da lui stesso trasposto per il grande schermo nel geniale episodio omonimo, condannato all’epoca per “vilipendio alla religione”, del film Ro.Go.Pa.G (acronimo per le iniziali dei registi che vi presero parte, Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti), La ricotta acquista, in questa sua nuova veste teatrale, un significato tutto contemporaneo della nuova miseria umana.
Raccontino emblematico dell’Italia del boom economico, della religiosità fanatica, della fame del popolo, del vuoto piccolo borghese, l’opera di Pasolini è uno scorcio satirico sulla lavorazione di una Passione cinematografica sui colli romani. Un generico, tra dive altezzose e comparse sadiche, cede il cestino del pranzo alla famiglia, cercando da sé il modo per poter mangiare: un secondo cestino verrà divorato dal cagnolino della diva, poi venduto a un giornalista sciocco per mille lire, utili a comprare una rimanenza di ricotta da una bancarella per strada. Stracci, il generico, che nel film interpreta il ladrone buono, tanto si ingozza da restare morto in croce per indigestione. Il povero cristo diventa protagonista, “non gli rimaneva che la morte per provare a se stesso che era ancora vivo”. Sullo sfondo, il carrozzone cinematografico al completo, troupe invadente, produttori col sigaro e mogli impellicciate al soldo, un regista matusa dal pensiero fino e un pubblico incredulo.
Tutto ciò, sul palco, ha unicamente il volto popolano di Antonello Fassari, presente anima e corpo in un assolo virulento e febbrile, intenso e sofferto, prova viva di come una recitazione coinvolta e convinta sia in grado di reggere da sola l’intera messa in scena.
Non si scampa dalla prosa pasoliniana, erudita e tagliente come nessuna, interpretata con efficacia dall’attore, senza rinunciare a qualche suggerita eco alla crisi dei nostri tempi.
Riesce meno l’invettiva al cattolicesimo da immaginetta, quella che, nel film, vedeva riprodurre dal vivo le Deposizioni di Rosso Fiorentino e del Pontormo, unico episodio in cui si nota la debolezza della lingua se priva dell’ausilio dell’immagine.
Rimane uno studio accurato e sentito, perfettamente in grado di scuotere gli animi, di svegliare le menti.
Giuseppe D’Errico
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