La musica come strumento ontologico di conoscenza: Dave Douglas & Uri Caine live al Parco della Musica di Roma.

Dave Douglas (tr.), Uri Caine (piano). 

Sala Petrassi (5 dicembre 2012).

Il cielo in una stanza, non è soltanto il titolo di una celebre canzone. Quando Dave Douglas e Uri Caine iniziano a suonare si ha la sensazione che non ci sia modo migliore per descrivere ciò che sta succedendo.
Douglas è un musicista eclettico. Uno di quei trombettisti che a passare dalle sferzate acute da avanguardia free all’adattamento di partiture classiche ci impiega un attimo: il tempo di uno sguardo, di un mezzo sorriso, il tempo di catturare un suono colto all’improvviso e trasformarlo in un passaggio nuovo.A Roma non si risparmia e il senso della Carta bianca offerta dal Parco della Musica sposa perfettamente la sua visione trasversale. L’inizio non è dei migliori: la voce della sua tromba sembra debole e un po’ sottotono, complice l’amplificazione di una sala relativamente piena. È necessaria tutta l’intensità del suono di Caine infatti a far decollare lo stato emozionale dell’uditorio e il carattere deciso di Douglas, predisponendo alla perfezione i suoi ingressi nei brani. Basta poco però e l’empatia tra i due musicisti diventa percepibile e quasi tangibile, riuscendo a coinvolgere il pubblico presente, che non tarda a far sentire la propria voce.
Il trombettista statunitense offre nell’occasione tutto il suo spirito da esploratore della musica contemporanea, tracciando una linea iperbolica che lega il concerto ad un pathos in crescendo e andando a pescare nel suo vasto repertorio di brani autografi e dalla tradizione popolare dell’Europa del nord. I suoi movimenti sinusoidali – attraverso i quali si è imposto sulla scena in maniera sempre diversa, andando via via a sciogliere e ricomporre nodi armonici nuovi – si uniscono perfettamente alla linearità elevata di Uri Caine – una benedizione per chi ascolta – sempre equilibrato, essenziale e intenso nei cambiamenti di prospettiva e nella composizione dei “dialoghi”. Qui il concetto di jazz si dilata fino a sconfinare nella classica e nel folk, in strutture melodiche precise e partiture complesse, dalle quali emerge la straordinaria capacità dei due artisti di adattare la materia alle proprie intuizioni e ad una spiritualità creativa che viaggia all’unisono. A far gioco oltre un decennio di stretta collaborazione e due storie che, in parte, si avvicinano e si assomigliano, nonostante le diverse radici iniziali (newyorkesi e sperimentali quelle di Douglas, classiche e filo europee ed ebraiche quelle di Caine, originario di Philadelphia).
Un amalgama eccezionale a livello intellettuale, stilistico e mistico, dove la musica, ricevuta come un dono, viene lavorata con attrezzi di precisione e resa in maniera incondizionata attraverso un atto di condivisione sentito e fortemente partecipato. La dimensione dicotomica rappresentata sul palco da Douglas e Caine si proietta anche nel rapporto con il pubblico, il quale non può fare a meno di vedere la fusione dei due in un’unica identità artistica e far propria la forza di un’alleanza, di un filo doppio mai spezzato, e la propensione di entrambi di elevarsi all’infinito.

Giulia Focardi

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