“La La Land”, un film di Damien Chazelle, la recensione

La La Land (id, Usa, 2016) di Damien Chazelle con Emma Stone, Ryan Gosling, John Legend, J.K. Simmons, Finn Wittrock, Rosemarie DeWitt, Tom Everett Scott, Sonoya Mizuno, Jason Fuchs

Sceneggiatura di Damien Chazelle

Musical, 2h 07’, 01 Distribution, in uscita il 26 gennaio 2017

Voto: 7 su 10

Il pregio più evidente di La La Land, e del suo regista appena trentunenne Damien Chazelle, è l’onestà intellettuale, la passione e l’assoluta mancanza di superbia nella rievocazione di una memoria cinematografica lontanissima dalla sensibilità contemporanea, al netto di una grazia e un talento impossibili da recriminare. Le altissime potenzialità di questo giovane autore si mostravano lampanti già nel precedente Whiplash, un trascinante scontro a suon di jazz e sangue tra recluta e insegnante tra le mura di un’accademia musicale. Sempre il jazz è al centro della partitura musicale firmata ancora una volta da Justin Hurwitz, che fa da guida alla storia d’amore classica, e per questo funzionale all’operazione, tra un’aspirante attrice (Stone) e un pianista (Gosling), sullo sfondo della città degli angeli.

StampaLa La Land è un omaggio dichiarato al grande musical americano del passato e non solo, un compendio di citazioni che, dai classici di Stanley Donen e Vincente Minnelli (ma l’elenco sarebbe molto più lungo), arriva a rendere onore anche a Jacques Demy e Baz Luhrman. Lo fa attraverso una sofisticata apologia del sogno per il successo che si scontra con infinite variabili, prima fra tutte il sentimento. Facendo muovere i protagonisti in un oggi fuori dal tempo, dove i telefoni cellulari convivono con i chiari di luna e le gigantografie di Ingrid Bergman, Chazelle squarcia lo schermo del reale tuffando la storia in un mood dapprima vivace e poi sempre più malinconico. La stilizzazione degli esterni fa pensare al Coppola dello sfortunato e iconico Un sogno lungo un giorno, mentre lo spirito riesce quasi per magia a coniugare la devozione per un’epoca ormai lontana con la modernità quasi alleniana di una scrittura completamente rivolta alle psicologie dei personaggi.

Il risultato non è un semplice revival nostalgico, ma un vero e proprio atto d’amore, splendidamente filmato, verso ogni artista che sogna la propria realizzazione. L’onestà di Chazelle, e dell’intera macchina produttiva al suo servizio, sta proprio nel non voler mettersi al pari o, peggio, a gareggiare con gli inarrivabili esempi di un genere che egli per primo ama e ha imparato a misurare: a parte l’eclatante numero di apertura nel traffico di Los Angeles, di coreografie ce ne sono pochine e i pur deliziosi Stone e Gosling, per quanto preparati e assolutamente in parte, sanno benissimo di non essere né Cyd Charisse né Gene Kelly, e purtroppo per loro si vede. Sta forse qui l’inesorabile limite di La La Land, ossia la sua irrimediabile distanza da quei modelli così ampiamente citati, la sua dedizione così manifesta da sfiorare il manierismo, per poi non apportare alcuna reale innovazione di linguaggio. Non molti anni fa, un film come Moulin Rouge!, col suo travolgente pastiche musicale, fu ben più dirompente e rivoluzionario.

Ciò non ha impedito al film di concorrere per ben 14 premi alla prossima notte degli Oscar: come segnale da Hollywood non dispiace, ma il sospetto di un’opera ampiamente sopravvalutata resta.

Giuseppe D’Errico

One Response to “La La Land”, un film di Damien Chazelle, la recensione

  1. Card ha detto:

    Daiiii, non è sopravvalutata. A me è piaciuto 10

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