Il violinista del diavolo (The Devil’s Violinist, GB/Germania/Italia, 2013) di Bernard Rose, con David Garrett, Jared Harris, Joely Richardson, Andrea Deck, Christian McKay, Veronica Ferres, Helmut Berger, Olivia d’Abo
Sceneggiatura di Bernard Rose
Drammatico, 2h 02′, Academy Two, in uscita il 27 febbraio 2014
Voto: 5 su 10
Ritorna Bernard Rose, regista d’accademia nato videomaker per il gruppo Frankie Goes to Hollywood, fattosi notare con un horror di qualche ambizione (Candyman, 1992) e poi confermatosi discreto melomane con opere in costume tra il musicale (Amata immortale, 1994, romanzone sentimentale su Beethoven) e il letterario (una calligrafica trasposizione di Anna Karenina di Tolstoj, 1998, con Sophie Marceau), fino a cimentarsi con scarsa risonanza col cinema di genere (Mr. Nice, 2010, e Two Jacks, 2012). Eccolo ora, con Il violinista del diavolo, nuovamente alle prese con un artificioso biopic d’epoca, incentrato sulla figura mitica del virtuoso del violino Niccolò Paganini.
Leggenda vuole che il compositore genovese avesse barattato l’anima al diavolo in cambio della gloria professionale. Il film di Rose proprio da questo patto prende le mosse: siamo nel 1830 e Paganini è l’artista maledetto dal talento straordinario e ancora inascoltato, che diventa idolo internazionale solo dopo essere entrato nell’egida protettiva del misterioso agente Ubaldi (Harris, con top hat e pizzetto biforcuto). I teatri lo reclamano, le donne lo bramano, tutti lo vogliono. E Paganini si innamora della virginale Charlotte Watson (l’esordiente Andrea Deck), figlia dell’impresario (McKay) che, con enorme fatica, è riuscito a portarlo sul palcoscenico britannico. Ma c’è una giornalista (Richardson) assetata di scandali che cospira alle spalle del violinista, attirato in una rete dal quale non riuscirà a liberarsi.
Come biografia è ovviamente da prendere con le pinze, zeppa com’è di stucchevoli stereotipi sul genio e la sregolatezza di un grande artista musicale che rivoluzionò l’uso del violino e della concezione del ritmo tradizionalmente inteso. Il “pizzicato” paganiniano è roba per pochi eletti, per questo il regista si affida, per il ruolo del protagonista, al carismatico violinista tedesco David Garrett, autentica star della classica contemporanea. Ben conscio delle limitate capacità recitative del suo interprete, Rose preferisce concentrarsi sulle “infernali” esecuzioni musicali per cui è stato espressamente chiamato in causa, e che diventano un prezioso motivo di interesse in un film, al netto, assai pacchiano nella narrazione e nella messa in scena, con alcuni terribili paraventi scenografici come da anni non se ne vedevano in produzioni di buon nome come questa. Gradiranno i fedelissimi degli sceneggiati televisivi con lacrime e sospiri.
Giuseppe D’Errico
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