Venezia78 – Giornate degli Autori: “Il silenzio grande”, un film di Alessandro Gassmann, la recensione

Il silenzio grande (Italia/Polonia, 2021) di Alessandro Gassmann con Massimiliano Gallo, Margherita Buy, Marina Confalone, Antonia Fotaras, Emanuele Linfatti

Sceneggiatura di Andrea Ozza, Maurizio De Giovanni e Alessandro Gassmann, tratta dalla pièce teatrale omonima di Maurizio De Giovanni

Drammatico, 1h 46’, Vision Distribution, in uscita il 16 settembre 2021

Voto: 5½ su 10

La vendita della grande casa di famiglia è un topos letterario e cinematografico che non ha mai smesso di esercitare il suo angoscioso ascendente sul pubblico. Spesso cuore pulsante di complesse vicende private e di scontri generazionali, il distacco dalla magione è vissuto al pari di un lutto, un’esperienza catartica che si fa metafora di fine e rinascita. Recentemente, ne aveva fornito un bell’esempio la nostra Valeria Bruni Tedeschi nell’autobiografico Un castello in Italia, da lei scritto, diretto e interpretato. Con Il silenzio grande, invece, è un altro nome di illustre genìa, Alessandro Gassmann, a misurarsi con i toni intimisti che l’argomento impone, e chissà se nelle incomprensioni padre-figlio della trama sia corretto scorgere i conflitti con papà Vittorio.

La villa in vendita è quella dei Primic, una famiglia dell’alta borghesia partenopea ormai in rovina, così come la splendida residenza che da sempre li ospita. Il patriarca Valerio, interpretato da Massimiliano Gallo, un tempo scrittore geniale e idolatrato, passa le giornate in cerca di un’ispirazione che gli permetta finalmente di riempire quel foglio che da anni giace bianco nel rullo della macchina da scrivere. Chiuso nel suo studio stracolmo di libri catalogati per “omogeneità emotiva”, l’uomo è continuamente disturbato dalle incursioni dell’amabile eppur ficcanaso governante Bettina (Marina Confalone) e dai colloqui carichi di risentimento con la moglie Rose (Margherita Buy) e i due figli Massimiliano (Linfatti) e Adele (Fotaras). Valerio è l’unico contrario alla vendita, ma per gli altri lasciare quella casa è un passo necessario…

Giunto alla sua quarta prova dietro alla macchina da presa, Alessandro Gassmann trasferisce sul grande schermo la fortunata commedia teatrale omonima firmata da Maurizio De Giovanni, che già aveva diretto per il palco, su una sceneggiatura scritta da Andrea Ozza con gli stessi Gassmann e De Giovanni. L’ottimo lavoro di adattamento, però, non è servito da una regia all’altezza: ciò che a teatro funziona per la distanza tra l’occhio dello spettatore e lo sguardo degli interpreti, al cinema tradisce, al contrario, una direzione attoriale poco attenta ed eccessivamente speranzosa dell’ingenuità del pubblico. Il rischio è quello di incorrere in una sequela di confronti a due quasi monologati, lì dove il regista avrebbe potuto sfruttare un meccanismo di assi cinematografici sullo stile reso celebre da Shyamalan.

Senza voler rivelare troppo della bella intelaiatura drammatica, Il silenzio grande vorrebbe ragionare sulla quiete assordante che logora le mura dell’istituzione famigliare, donando ai suoi protagonisti la speranza di una seconda possibilità. Allo stesso tempo, il gioco rischia di apparire eccessivamente scoperto e privo della magia necessaria a renderlo efficace da un punto di vista filmico e non puro teatro filmato. Anche gli squarci onirici, restituiti quasi sempre in modo esteticamente sciatto, possono sortire davvero poco in rapporto alla staticità dell’insieme, mentre cadono nel vuoto i rimandi a Checov e i due cameo strappa-simpatia del regista.

Gli attori in campo, da parte loro, fanno quel che possono con onore: bravo Gallo, che già aveva vestito i panni di Primic in scena, ma non ha quell’aura di fascino e soggezione che dovrebbe incutere il personaggio; meglio in parte la raffinatissima Buy, mentre è come sempre immensa Marina Confalone, ogni sua parola e gesto è pura arte recitativa. Resta altresì il rimpianto per un potenziale ad alto tasso di emotività e identificazione, decisamente mal sfruttato, tra congiuntivi sbagliati e musichine paratelevisive. Ahinoi, non è cinema d’altri tempi, tutt’altro.

Giuseppe D’Errico

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