“Il Gabbiano (à ma mère)” da Anton Čechov, adattamento e regia di Giancarlo Sepe, la recensione

Teatro Diana, Rama 2000 presentano
Massimo Ranieri in
IL GABBIANO (À MA MÈRE)
da Anton Čechov
adattamento e regia Giancarlo Sepe
con Caterina Vertova, Pino Tufillaro, Federica Stefanelli, Martina Grilli, Francesco Jacopo Provenzano
musiche Harmonia Team
disegno luci Maurizio Fabretti
scene e costumi Uberto Bertacca

In scena al Teatro Quirino di Roma fino al 31 marzo

Voto: 5 su 10

Sepe che dirige Ranieri da Čechov: c’era di chè far tremare il cielo, eppure l’incontro tra un grande sperimentatore del linguaggio teatrale e l’immenso interprete napoletano, su un testo della più nobile tradizione europea, si è risolto in uno strano ibrido, che ha alternato momenti suggestivi ad altri francamente grotteschi, in un’atmosfera generale di delirio collettivo, sottolineata dalla recitazione – si pensa – volutamente sopra le righe degli attori.

Senza voler banalmente screditare l’evidente coraggio di Sepe, che ancora una volta scardina le basi del classicismo per trasformarlo in qualcosa di diametralmente differente, questa versione del Gabbiano è quasi un tuffo nel mare degli eventi cechoviani, nei quali affoga lo spettro di un Trepliòv ormai maturo, interpretato da Ranieri, che osserva, tra distacco e partecipazione, le vicende che lo portarono, giovanissimo, al suicidio: tra i vari personaggi che si alternano sul palco, provenienti da quinte scure e minacciose che paiono il monolite kubrickiano di 2001: odissea nello spazio, l’unica ad avere il giusto spessore narrativo è la tirannica madre Irina Arcàdina, le cui gravose vesti porta Caterina Vertova, che vessa il figlio caricandolo di ogni sua insoddisfazione; gli altri sono solo figurine appena abbozzate, in barba alla complessità che avvolgeva il testo originale.

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Nel tentativo di rincorrere l’originalità, Sepe incappa però in una messa in scena barbosa e datata, i cui pochi elementi effettivamente dirompenti (l’allarmante urlo di Ranieri durante la confessione della sua controparte giovane è davvero inquietante) si perdono nel flusso generale di tormentoso vaneggiamento dell’insieme. Meglio ricordare questo Gabbiano come una sorta di recital di Ranieri, invero assai monocorde nei panni di questo Trepliòv fuori tempo massimo, che spezzetta la narrazione già di per sé accidentata, con l’esecuzione canora di alcuni dei più celebri brani del repertorio francese d’autore, facendone un perfetto chansonnier parigino: da «Avec le temps» di Ferré a «Je suis malade» di Serge Lama, da «Hier encore» di Aznavour a «Et maintenant» di Bécaud, da «La foule» di Edith Piaf a «La chanson des vieux amants» di Brel, Ranieri ha confermato, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la sua formidabile caratura artistica e ha regalato al pubblico quel minimo di coinvolgimento emotivo utile a provocare la cascata di applausi finali.

Giuseppe D’Errico

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