“Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati, uno spettacolo di Elisa Rocca, la recensione

IL DESERTO DEI TARTARI

di Dino Buzzati

adattamento e riduzione Massimo Roberto Beato

regia Elisa Rocca

con Massimo Roberto Beato, Alberto Melone, Matteo Tanganelli

allestimento scenico Jacopo Bezzi, Marta Bencich

musiche originali Giorgio Stefanori

Andato in scena al Teatro de’ Servi di Roma

Voto: 7 su 10

Dal testo “La Fortezza – Momento unico per tre attori soli” nato dalla rielaborazione del romanzo “Il deserto dei Tartari”, pubblicato da Dino Buzzati nel 1940, nasce la rappresentazione portata in scena al Teatro de’ Servi dalla Compagnia dei Masnadieri, primo capitolo di una trilogia che intende rappresentare gli sconfitti, coloro i quali, nelle intenzioni degli autori, sembrano essere destinati a doversi adattare ad un mondo che a fatica comprendono, e – affannosamente – a convivere con esso.

Ecco dunque la storia del giovane tenente Drogo (Alberto Melone) assegnato al suo primo incarico a prestar servizio presso la fortezza Bastiani, avamposto sperduto ai margini di un deserto dal quale – prima o poi – potrebbero attaccare i famigerati Tartari; scontento dell’incarico ricevuto, il nostro ufficiale confida i propri dubbi al Capitano Ortiz (Massimo Roberto Beato) che da anni dirige, con ferrea disciplina, la solitaria caserma ai confini del mondo. In questo minuscolo ambiente, solitario e lontano da ogni stimolo della modernità, si hanno solo i pensieri e le parole dei propri commilitoni come unico appiglio al reale: è Matteo Tanganelli a incarnare allora diversi soldati, figure manichee di militareschi estremismi, per lo più attraverso parossistiche modulazioni della voce.

Drammaturgia sul trascorrere del tempo e sulle convinzioni che reggono l’animo umano, questa rappresentazione del racconto di Buzzati si regge sulle febbrili interpretazioni dei tre attori sul palco e sul contrasto tra l’immobilismo delle loro esistenze e il continuo salutarsi, galoppare, montare la guardia, uno spostarsi sulla scena febbrile e incessante, a riempire proscenio, sfondo e ribalta: ingabbiati nei formalismi militari, burattini delle gerarchie e schiavi della speranza che un giorno la battaglia arrivi a restituire significato ad esistenze altrimenti consumate in un’eterna, inutile attesa.

La vivace regia di Elisa Rocca si avvale dell’intensa a malinconica partitura musicale di Giorgio Stefanori, che ben sottolinea l’inquietudine esistenziale dei personaggi di cui si rappresentano le vite, e in un ben meditato finale il protagonista Drogo trova, guardando la luna, un quieto, poetico riscatto al lungo percorso del suo vinto, umiliato antieroe.

Marco Moraschinelli

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