“Human”, un viaggio dentro le contraddizioni dell’uomo, la recensione dello spettacolo di Lella Costa e Marco Baliani

HUMAN

scritto da Marco Baliani e Lella Costa
collaborazione alla drammaturgia di Ilenia Carrone
scene e costumi di Antonio Marras
musiche originali di Paolo Fresu con Gianluca Petrella
scenografo associato Marco Velli
costumista associato Gianluca Sbicca
disegno luci di Loïc Francois Hamelin e Tommaso Contu
assistenti alla produzione Agnese Fois e Leonardo Tomasi
regia di Marco Baliani
con Marco Baliani e Lella Costa
e con David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu
produzione Mismaonda, Sardegna Teatro e Marche Teatro

Andato in scena al Teatro Duse di Bologna

Voto: 9 su 10

È un viaggio che parte da molto lontano quello intrapreso da Marco Baliani nel suo ultimo lavoro, “Human”, andato in scena al Teatro Duse di Bologna, che vede, protagonisti sul palco, Marco Baliani stesso al fianco di una strepitosa Lella Costa e quattro giovani attori talentuosi (David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu). Il primo seme per la nascita di questo spettacolo, che intende esplorare il concetto di umano e disumano attraverso l’immigrazione, è stato l’Eneide, il poema di Virgilio che celebra la nascita dell’impero Romano da un popolo di profughi. Seguendo la scia della mitologia greca, il regista ha approfondito, insieme Lella Costa, compagna di avventura, anche il mito di Leandro e Ero, due amanti che vissero sulle rive opposte dell’Ellesponto, un lenzuolo di mare che li divise e, nonostante gli sforzi per incontrarsi, non riuscirono a coronare il loro amore perché Leandro morì tra i flutti del mare, ed Ero, affranta dal dolore si suicidò.

human_localow2Un excursus che parte dalla tragedia greca fino a sbarcare sui nostri mari, per interrogarsi sul senso del migrare, su cosa significa partire ma anche cosa implica accogliere. La pièce si dipana attraverso frammenti di vita tesi a raccogliere testimonianze, a dare punti di vista, anche molto diversi tra loro, eppure tutti plausibili, nei quali si evidenziano le contraddizioni sia di chi decide di partire sia di chi dà ospitalità, ed è, molto spesso, costretto a incontrare la disperazione e a doverci fare, in qualche modo, i conti. Viaggio, incontro, scontro, partenza, arrivo, accoglienza, inclusione, discriminazione, emarginazione. Questi sono i temi affrontati nello spettacolo “Human” e declinati in tante piccole scene che inquadrano il tema sotto diverse angolazioni, mettendo a fuoco le molte sfumature che si celano dietro la parola umanità e dietro la sua negazione, con l’intento di svelare contraddizioni, luoghi comuni, impasse, scoperchiare conflitti, ipocrisie e paure, alcune volte indicibili.

Un caleidoscopio in cui rifrange ogni tipo di osservazione possibile, in cui si ride, si piange, si riflette trascinati racconti degli interpreti: si passa da un gruppo di giovani che guardano la tv, intenta a raccontare una delle tante stragi di profughi nei nostri mari: in essi si vede sì la compassione, ma anche un certo distacco, un desiderio di non farsi coinvolgere troppo; si arriva alla signora Tecla, un’anziana signora veneta che sciorina una serie di luoghi comuni che evidenziano la ritrosia, il disagio di confrontarsi con l’ignoto, ma anche qui, in fondo, si intravede un briciolo di umanità e di compassione.

Sì perché umano e disumano non sono concetti distinti ma sono sfumature del nostro “essere umani”, sono aspetti che ognuno di noi possiede e che, spesso, si compenetrano. Non mancano i commoventi racconti di gente che quel mare decide di affrontarlo: i profughi di oggi, con le loro storie dolorose, ma non dimenticando nemmeno quando eravamo noi a emigrare, a lasciare il nostro paese per essere accolti con astio dagli americani, in un tempo in cui rappresentavamo noi un pericolo per gli altri.

Uno spettacolo pieno di suggestioni, dove il canto epico, la poesia, i dialoghi, i monologhi, la musica e la danza sono tutte forme teatrali utilizzate dal regista per indagare “quanto sta accadendo in questi ultimi anni, sotto i nostri occhi, nella nostra Europa, intesa non solo come entità geografica, ma come sistema “occidentale” di valori e di idee: i muri che si alzano, i fondamentalismi che avanzano, gli attentati che sconvolgono le città, i profughi che cercano rifugio.”

Impossibile non notare la rilevanza della musica in questo spettacolo, ideata da Paolo Fresu che ha scritto le musiche con Gianluca Petrella. Due sono i temi principali che attraversano lo spettacolo con diverse sfumature: uno è “Requiem” di Paolo Fresu, l’altro “Sì dolce è il tormento” di Monteverdi, altro cavallo di battaglia del trombettista sardo.

Per concludere è opportuno citare l’intenso gioco di luci che nasconde e disvela, creando esso stesso, un senso nella narrazione, messo a punto da  Loïc Francois Hamelin e Tommaso Contu, e i bellissimi costumi e la toccante scenografia ideata da Antonio Marras, tutta incentrata nei toni del rosso, come il sangue, tante, troppe volte versato, e il blu, intenso come il mare che a volte risucchia ed altre volte porta alla rinascita. E struggente è anche l’enorme arazzo sospeso in fondo alla scena, dove campeggiano centinaia di abiti dismessi come brandelli di vite vissute, abiti un tempo indossati e resi vivi che adesso sono lì, inermi e che tuttavia, hanno ancora qualcosa da raccontare.

Amelia Di Pietro

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