Gli indifferenti (id, Italia, 2020) di Leonardo Guerra Seràgnoli con Valeria Bruni Tedeschi, Giovanna Mezzogiorno, Edoardo Pesce, Vincenzo Crea, Beatrice Grannò, Denise Tantucci, Pilar Fogliati
Sceneggiatura di Leonardo Guerra Seràgnoli e Alessandro Valenti, liberamente ispirato al romanzo omonimo di Alberto Moravia
Drammatico, 1h 21’, Vision Distribution, in VOD
Voto: 4½ su 10
Quando nel 1929 Alberto Moravia diede alle stampe il suo romanzo d’esordio, Gli indifferenti, la classe dirigente italiana, che proprio tra quelle pagine veniva irrisa in un’audace e grottesca tragedia famigliare, si apprestava inerme ad abbracciare gli ideali fascisti, con le conseguenze tristemente consegnate alle carte della storia. Un’opera fondamentale, dunque, per quel tempo, riservata a destare scandalo e condannata dai puristi classicisti, così come i successivi lavori dell’autore romano, sempre pronto a mettere alla berlina i vizi, le ipocrisie, la vacuità e il velleitarismo della borghesia dell’epoca. Non è un caso se tutte queste caratteristiche trovarono terreno fertile nella stagione cinematografica del boom, quel decennio o poco più, a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, in cui le nostre sale erano avide di ritratti al vetriolo della società italiana: Moravia è stato tra gli scrittori più utilizzati per il grande schermo (su tutti La Ciociara, ma anche La romana, Il conformista e La noia, solo per citare i titoli più celebri) e anche Gli indifferenti trovò la sua, invero ingiustamente sfortunata, trasposizione per mano di Francesco Maselli. Era il 1964, ad interpretarla c’era un sontuoso cast formato da Paulette Goddard, Rod Steiger, Claudia Cardinale, Shelley Winters e Tomas Milian. Molti anni più tardi, nel 1988, un altro grande regista come Mario Bolognini si misurava con il testo moraviano per una riduzione televisiva che annoverava tra gli interpreti Liv Ullman e Peter Fonda.
Alla luce di questa lunga premessa, è curioso constatare quanto questa “libera ispirazione” da Gli indifferenti potesse risultare sensata: nelle intenzioni del regista Leonardo Guerra Seràgnoli – al suo terzo lungometraggio dopo l’apprezzato Last Summer e il meno convincente Likemeback – e dello sceneggiatore Alessandro Valenti, le vicende degli Ardengo inviterebbero a una riflessione sulla precarietà dell’oggi e sulla mancanza di strumenti sociali utili ad affrontare l’odierna crisi, economica e morale. Propositi pienamente condivisibili, che però faticano a trovare un corrispettivo efficace nella messa in scena imbastita per l’occasione.
I nuovi “indifferenti” sono dei pariolini molli e multiaccessoriati, ma ancorati a schemi e ideologie passatiste: c’è la vedova ancora appetibile Mariagrazia (Bruni Tedeschi) che, incapace di ridimensionare uno stile di vita agiato, si fa mantenere da Leo Merumeci (Pesce), un manager rozzo e opportunista, in realtà unicamente interessato a impadronirsi del bellissimo attico della famiglia; ci sono poi i figli della donna, Michele (Crea), che vorrebbe fuori di casa l’uomo di sua madre, e la neodiciottenne Carla (Grannò), che proprio da quest’ultimo subisce una violenza. Nel quadro di passivismo imperante degli Ardengo si inserisce Lisa (Mezzogiorno), amica di lunga data di Mariagrazia e amante segreta, benché matura, di Michele.
Simbologie smaccate (il viscido predatore di Edoardo Pesce che dorme nudo in una camera da letto soffocata dalla carta da parati dal decoro jungle) e anacronismi assortiti, legati forse a ideali borghesi che si pensano immarcescibili, aggravano un film di per sé incapace di sostenere il peso delle proprie ambizioni. Questo Gli indifferenti edizione 2020 è una pallidissima satira sociale in formato soap opera, dove personaggi senza spessore si ritrovano a bofonchiare moraline impensabili nel referente letterario, col risultato di riattualizzare un’impressione del reale tutta di superficie.
Aver travisato completamente il finale, in onore del politicamente corretto e rinunciando così a ogni barlume di cinismo, porta al trionfo un’operazione che sembra la diretta discendente dei convenzionalismi tanto sbeffeggiati da Moravia, con buona pace di una confezione elegantemente anonima e delle interpretazioni di ottimi attori timidamente diretti. A dispetto della bistratta versione di Maselli, in realtà assai coraggiosa per l’epoca, quella di Seràgnoli è di sconfortante vacuità, al netto dei nobili intenti.
Giuseppe D’Errico
P.S. Nel recente film Blackout Love di Francesca Marino – che Dio ve ne scampi: voto 2! – la protagonista Anna Foglietta vive e vegeta nella stessa camera da letto jungle qui occupata da Edoardo Pesce. Ma com’è possibile che, tra tante possibilità valutabili, due film dalle lavorazioni così vicine tra loro abbiano la stessa location casalinga? Un sintomo di sciatteria che ha dell’imbarazzante, ancor più se entrambi i film sono stati resi disponibili esclusivamente on demand sulla stessa piattaforma e a poca distanza di tempo l’uno dall’altro.
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