The Danish Girl (id, GB, 2015) di Tom Hooper con Eddie Redmayne, Alicia Vikander, Ben Whishaw, Sebastian Koch, Amber Heard, Matthias Schoenaerst, Adrian Schiller
Sceneggiatura di Lucinda Coxon, dal romanzo “La danese” di David Ebershoff (ed. Guanda)
Drammatico, 2h, Universal Pictures International Italy, in uscita il 18 febbraio 2016
Voto: 8 su 10
Quando nel 2000 venne pubblicato il romanzo The Danish Girl, opera d’esordio dell’americano David Ebershoff, il successo a livello internazionale ebbe una risonanza clamorosa. Tanto che, nello stesso anno, la produttrice Gail Mutrux, intuendone il potenziale, ne opzionò i diritti per farne una trasposizione cinematografica. Nell’arco di oltre un decennio, venne fatto un accurato lavoro di ricerca e di realizzazione per omaggiare e rendere giustizia ad una vicenda, vera, di straordinario coraggio: il viaggio di Einar Wegener verso la ricerca e la scoperta della sua reale identità sessuale, che lo porterà ad essere la prima persona nella storia a sottoporsi ad un intervento chirurgico per la conferma di genere.
Nel 1926 a Copenaghen, Einar (interpretato nel film da Eddie Redmayne) era un affermato pittore paesaggista e conduceva una vita tranquilla con la moglie e collega Gerda (Alicia Vikander), finché una serie di episodi non aprirono in lui un varco verso una nuova e inaspettata dimensione. Il suo percorso di conoscenza lo portò ad assumere le sembianze di Lili, a tutti presentata come sua cugina, e quello che in un primo momento veniva vissuto come un gioco dalla coppia, diventerà poi una certezza al punto che Einar deciderà di affrontare una rischiosa operazione, conscio che la medicina in questo campo era ancora in via sperimentale, per la necessità di vivere anche un solo giorno nell’autenticità. In questo arduo percorso verso la consapevolezza, Lili sarà sempre seguita e supportata dalla incrollabile dedizione di Gerda, il cui dramma interiore per la progressiva perdita dell’uomo che ama, venne soffocato da un raro spirito di sacrificio che la portò a rinunciare ad Einar, pur di vedere felice Lili.
Oggi la loro storia viene portata sullo schermo da Tom Hooper, vincitore nel 2010 dell’Oscar per la regia con Il discorso del re, e da Lucinda Coxon, che ne firma la sceneggiatura. Entrambi mostrano, probabilmente, un eccessivo timore nel muoversi all’interno di una vicenda così complessa e al contempo eroica, specialmente se contestualizzata nella prima metà del Novecento, quando tutto ciò che non rientrava nei canoni prestabiliti veniva bollato come “infermità mentale”, costruendo una pellicola rarefatta e di raffinata eleganza.
Girato tra la Danimarca, Parigi e Dresda, delle quali il direttore della fotografia Danny Cohen ci restituisce panorami di una tale straordinaria bellezza che pare quasi l’occhio umano non riesca a contenerla, a parlare non sono solo i dialoghi ma anche la luce ed i colori. Tutto testimonia l’evolversi del cammino di Einar/Lili, con una parte iniziale del film caratterizzata da un ritmo piuttosto lento, dove la scenografa Eve Stewart si è lasciata guidare dall’ottocentesco artista danese Vilhelm Hammershøi (stupefacente come l’appartamento di Einar e Gerda riproduca fedelmente i suoi quadri d’interni), creando ambienti tutti virati sulle tonalità cupe del grigio e del blu. Ma quando Einar inizia a prendere coscienza di sé e Lili prende vita, i toni diventano progressivamente di una vitalità accecante, talmente intensi da lasciare storditi, perché tutto pare prendere vita insieme a lei.
Soprattutto, Lili nasce, per noi spettatori, dall’incommensurabile bravura di Eddie Redmayne, a ragione candidato per questo ruolo all’Oscar, premio che ha, per altro, già conquistato un anno fa per La teoria del tutto. La delicatezza e il rispetto con cui l’attore crea questa figura femminile sono impareggiabili, e la gioia quasi fanciullesca nei suoi sguardi, unita alla purezza dei sorrisi e delle movenze con cui attraverso di lui Lili diventa reale, sono disarmanti. Egregiamente affiancato, in questo, dalla svedese Alicia Wikander, premiata con la sua prima candidatura all’Oscar, che ha saputo trovare la giusta chiave di lettura nel sostenere un ruolo niente affatto semplice: evitando il pericolo di sconfinare nel penoso l’attrice ha dato vita ad un personaggio la cui incredibile forza d’animo ha come motore l’amore incondizionato, lasciando che il dolore le imploda dentro.
The Danish Girl potrebbe, forse, essere tacciato di un eccessivo perfezionismo e, in alcuni punti, di stilistica leziosità, che smorza, a volte, il pathos; ma resta indubbio il merito di avere come scopo quello di toccare le coscienze, e ci si augura le tocchi tutte, per spingere alla riflessione. Perché nessuno deve poter avere la possibilità di ostacolare qualcun altro nello scegliere la propria strada. Qualunque essa sia. Tutti devono avere il diritto all’autodeterminazione. Tutti.
Lidia Cascavilla
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