“Ballata per uomini e bestie”, Vinicio Capossela racconta il nostro Medioevo

Ci sono viaggi che possono essere fatti senza muoversi con il corpo. Viaggi che non solo travalicano i confini ma anche i secoli, riportano a un passato troppo spesso dimenticato e ricordano quanto la storia sia ciclica. Alcune pestilenze non vengono mai del tutto sconfitte e in momenti storici più delicati riaffiorano: tali sono la violenza, l’odio, la paura. Strumenti troppo spesso usati per sottomettere le popolazioni, per arginare il pensiero, per appiattire le coscienze. E poi ci sono i poeti, intesi in senso ampio, capaci di distinguere il “Reale” dal “Vero”, riuscendo a trasformare la contemporaneità in una grande allegoria. Vinicio Capossela ha dimostrato nel corso della sua carriera di appartenere a questa categoria e l’ha fatto anche con il suo ultimo lavoro Ballata per uomini e bestie con il quale ha conquistato l’ennesima Targa Tenco come miglior lavoro dell’anno. Titolo che dà il nome anche all’ultimo tour, andato in scena al Teatro Duse di Bologna in due serate gremite di gente pronta ad ascoltare la parola e la musica di questo profeta contemporaneo, capace di rileggere il mondo e l’attuale società con gli strumenti della poesia, della filosofia e della denuncia.

Un concerto che fa vibrare il corpo e accendere la mente. Un concerto fatto di musica, tanta bella musica, suonata magnificamente e di parole, racconti, aneddoti, ricordi. Sì, perché è solo attraverso la memoria che possiamo capire chi siamo, dove siamo arrivati e dove vogliamo andare. E la memoria di Capossela ha radici lontane, parte dalla prima scintilla di coscienza dell’uomo e tocca gli anni più bui della storia dell’umanità laddove gli uomini e le bestie sembravano così simili gli uni agli altri, anzi per certi versi queste ultime parevano più dignitose. Un viaggio contro l’estinzione di massa a bordo della nave dell’arte e della bellezza dove tutti possono salire, nessuno è escluso, nessuno è tagliato fuori. Nella lotta alla sopravvivenza siamo tutti uguali. Nelle emozioni, nei dolori, nelle sofferenze non c’è distinzione di colore, razza, sesso, lingua, religione.

Il viaggio di Capossela parte dai ritmi percussivi “Uro” dove alla batteria si aggiungono sonagli e campanacci che evocano gesti primitivi per proseguire con “Danza macabra” un inno alla morte, considerato come l’ultimo tabù della società dei consumi, proprio perché danneggia il ciclo della produzione fatto di rate, mutui, di debiti eterni dove non è concesso il lusso della finitudine dell’esistenza. E così si finisce per dimenticare di Vivere davvero, di rendere ogni attimo eterno. Attraverso il testo “La peste” si critica il nostro Medioevo contemporaneo che “corre nella rete, è sangue, è orgia, è fornicazione” denunciando i codici del web, la cannibalizzazione della carne, dei sentimenti e delle emozioni buttate in pasto a una manciata di like. Capossela dedica la canzone a Tiziana Cantone la donna che si è uccisa a causa del cyberbullismo. Altri nomi contemporanei ricorrono durante il concerto, nomi ai quali si legano episodi da non dimenticare: alle vicende di Stefano Cucchi viene dedicata la canzone Ballata del carcere di Reading ispirata al poema di Oscar Wilde.

Non mancano momenti più incalzanti, con Capossela che torna a indossare i panni del menestrello inquieto, come accade ne “La tentazione di Sant’Antonio” nel “Loup Garou” e nella bucolica “Il testamento del porco”, dove si mette in evidenza il parallelismo tra bestie e uomini, non è un caso che la parola “porco” sia anagramma di “corpo”. Si prosegue con una carrellata di grandi successi, tutti riarrangiati e resi sempre diversi dall’originale, merito anche della collaborazione di prestigiosi musicisti che accompagnano Vinicio Capossela: Alessandro “Asso” Stefana chitarrista e pluristrumentista, Niccolò Fornabaio alla batteria, Andrea Lamacchia al contrabbasso, basso e violoncello, Raffaele Tiseo al violino e Giovannangelo De Gennaro, specializzato in musica medievale, a viella e aulofoni.

Vinicio Capossela mette in scena una macchina perfetta, uno spettacolo concettuale nel quale niente è come te lo aspetti. I suoni ondeggiano tra musicalità triviali e percussive a suoni moderni, fino a toccare il folk, il rock. Nulla è scontato e lo stupore e la buona musica sono gli ingredienti essenziali per uno spettacolo unico e originale, nel quale il repertorio, gli arrangiamenti e anche i significati sono sempre diversi. Anche la scenografia, con le quattro guglie in legno e tre grandi pannelli di iuta serve a dare risonanza ai testi delle canzoni. Su di esse infatti saranno proiettare le immagini a corredo dei testi facendo diventare lo spazio scenico di volta in volta cattedrale, caverna, prigione a seconda delle esigenze.

Amelia Di Pietro

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