“Arrival”, un film di Denis Villeneuve, la recensione

Arrival (id, Usa, 2016) di Denis Villeneuve con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Mark O’Brien

Sceneggiatura di Eric Heisserer dal racconto “Storia della tua vita” di Ted Chiang (compreso nelle antologie “Storie della tua vita”, ed. Stampa Alternativa e “Arrival e altre Storie della tua vita”, ed. Frassinelli)

Fantascienza, 1h 58’, Warner Bros. Pictures Italia, in uscita il 19 gennaio 2017

Voto: 7 su 10

Sarà il regista dell’attesissimo sequel di Blade Runner, ma già da qualche anno il canadese Denis Villeneuve era riuscito a costruirsi una reputazione artistica invidiabile, con all’attivo opere apprezzate come La donna che canta, Prisoners e Sicario. Il suo ultimo film, Arrival, presentato in concorso all’ultimo festival di Venezia e in corsa per ben otto premi Oscar, può far ben sperare per le sorti del genere fantascientifico, che ritorna a quella declinazione insieme contemplativa, privata e umanista resa memorabile soprattutto da Stanley Kubrick e Steven Spielberg negli anni Settanta.

53453La storia è quella della linguista Louise Banks (Adams) che, dopo l’atterraggio di dodici enormi astronavi ellittiche in altrettanti luoghi sparsi nel mondo, viene incaricata dalla CIA e dalla Difesa Americana di capire e interpretare il linguaggio degli extraterrestri, per riuscire a comprendere quali siano le intenzioni di questi esseri. Dell’equipe selezionata di studiosi fanno parte anche il fisico teorico Ian Donnelly (Renner) e un colonnello dell’esercito americano (Whitaker). I primi contatti avvengono con due alieni, definiti “eptapodi” per via dei sette tentacoli con cui comunicano, sotto forma di riccioluti simboli circolari: più Louise si avvicina alla decifrazione di questi segni, più è tormentata da visioni di sé stessa con la figlia…

La sceneggiatura di Eric Heisserer, a partire dal racconto di Ted Chiang “Storia della tua vita”, si basa sulla teoria per cui il ragionamento e la formazione del pensiero personale variano a seconda della lingua che si parla. Peccato, però, che tale tesi sia sostenuta da un impianto drammaturgico farraginoso e banale, fitto di una serie di ingenuità che lasciano inespresso un messaggio universale solo evocato. Al netto di una narrazione incerta, si impone tutta la potenza visuale di un regista come Villeneuve, talmente tanto suggestiva da colmare le lacune del racconto con uno spessore concettuale spesso palpabile. In quest’ottica, è doveroso menzionare i contributi della fotografia abbagliante di Bradford Young e, soprattutto, la composizione sonora ad opera di Jóhann Jóhannsson, capace di condizionare la sfera emotiva dello spettatore in modo straordinario. Amy Adams si presta a un ruolo irto di ostacoli con passione e generosità. Con tali premesse, consideriamo Arrival una prova generale per le grandi cose che ci auguriamo di poter vedere da Villeneuve.

Giuseppe D’Errico

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