
Another Me (id, Gb/Spagna, 2013) di Isabel Coixet, con Sophie Turner, Rhys Ifans, Claire Forlani, Johnathan Ryhs Meyers, Gregg Sulkin, Geraldine Chaplin, Leonor Watling, Charlotte Vega, Melanie Walters
Sceneggiatura di Isabel Coixet, dal romanzo omonimo di Cathy MacPhail
Horror, 1h 27′
Voto: 4 su 10
VIII Festival Internazionale del Film di Roma – In Concorso
Come abbia fatto Isabel Coixet a cadere così in basso resterà un mistero. Fatto è che il suo ultimo film, questo Another me tratto dal romanzo omonimo di Cathy MacPhail, e presentato in anteprima mondiale e in concorso al Festival di Roma, ha drasticamente rimesso in discussione la credibilità della regista catalana, fino a ora autrice sensibile di opere come Le cose che non ti ho mai detto, La mia vita senza me e La vita segreta delle parole.
Il film è uno sciagurato connubio di melodramma famigliare e thriller psicologico tendente all’horror, in cui l’adolescente complessata Fay (la rossa Sophie Turner di Game of Thrones), che sta vivendo con difficoltà la malattia terminale del padre (Ifans) e l’adulterio della madre (Forlani) con l’insegnante di teatro (Rhys Meyers), si sente costantemente braccata da una presenza percepita come speculare a sé stessa. La ragazza cambia acconciatura e si taglia una mano per rendersi riconoscibile, ma non basta, l’altra lei è sempre più ingombrante: chi sarà mai?
L’inizio fa ben sperare e riesce in qualche modo a catturare l’attenzione. Ma poco ci vuole a far precipitare Another Me nel ridicolo involontario più profondo. La Coixet scimmiotta incautamente l’horror nipponico, abbonda in vetri crepati e bisbiglii che dovrebbero creare atmosfera, porta dentro un po’ di Macbeth e si dimentica completamente della suspense e della credibilità di storia e personaggi. Colpi di scena risibili, due o tre momenti di pura ilarità (immagini di ecografie rivelatrici usate casualmente come segnalibro, “mi dispiace che tu sia morta al posto mio” e altre amenità simili) e la sensazione deplorevole di uno scarto di magazzino che vorrebbe riciclare il classico tema del doppio strizzando l’occhio al Cigno nero di Aronofsky, ma senza nessuna nuova idea a riguardo. All’attivo, solo i bei titoli di coda. Da dimenticare.
Giuseppe D’Errico
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