Anna Karenina (id, Gran Bretagna, 2012) di Joe Wright con Keira Knightley, Jude Law, Aaron Taylor-Johnson, Kelly Macdonald, Matthew Macfedyen, Domhnall Gleeson, Ruth Wilson, Emily Watson, Olivia Williams
Sceneggiatura di Tom Stoppard, dal romanzo “Anna Karenina” di Lev Tolstoj
Drammatico, 2h 10’, Universal Pictures International Italy, in uscita il 21 febbraio 2013
Voto D’Errico: 8½ su 10
Voto Ozza: 7½ su 10
Non occorre essere proprio dei matusa per conoscere perfettamente la tragica storia di Anna Karenina, celeberrimo personaggio-simbolo nato dalla penna anticonformista di Lev Tolstoj e trasposto una quantità sterminata di volte tra cinema e tv, prima col volto della Garbo, poi con quello di Vivien Leigh, fino alla petulante Sophie Marceau.
Ci ha riprovato il regista britannico Joe Wright, espertissimo di riduzioni letterarie su grande schermo, avendo già diretto l’apprezzato Orgoglio e pregiudizio, tratto da Jane Austen, e il discusso (e magnifico) Espiazione, dal romanzo di Ian McEwan; ancora una volta, chiama con sé la sua musa Keira Knightley, oltre a una collaudata e infallibile squadra tecnica (Dario Marianelli alle musiche, Seamus McGarvey alla fotografia); in più, arruola in sede di sceneggiatura l’abile fantasista della tradizione Tom Stoppard (Rosencranz e Guildestern sono morti, Shakespeare in Love): il risultato finale è clamorosamente notevole.
L’infelice vicenda di Anna, sposa dell’irreprensibile ufficiale Aleksej e amante tormentata del conte Vronsij, che, incurante delle chiacchiere e della propria reputazione in frantumi, accetta superba un destino nefasto, viene portata in scena non secondo dettami di realismo cinematografico ma tramite la plateale finzione di una rappresentazione teatrale, cosicché a vivere non siano solo i personaggi, bensì gli umori da essi consacrati a livello universale.
Arte e vita, tradimento e verità, immaginazione e realtà vengono programmaticamente alternati in una delle più suggestive figurazioni letterarie degli ultimi anni, quasi fosse un lussuoso musical senza cantato, tra movenze coreografate e sbalorditive invenzioni di insieme degne del miglior Vincente Minnelli (guarda caso, la straordinaria sequenza del valzer tra Anna e Vromskij, risolta in un vorticoso carrello circolare dalla chiara valenza sessuale, riporta alla mente la danza forsennata nel salone degli specchi di Jennifer Jones in Madame Bovary, così come il momento topico in cui tutti si voltano verso la scandalosa Anna a teatro riprende un’idea di Gigì).
Merito dell’eleganza di Wright ma anche della sottile genialità di Stoppard, che riscrive i caratteri, sprigionandone la modernità, e accentua le passioni, impedendo ogni stanchezza empatica.
Quasi inutile sottolineare la grandezza del decoro e la magnificenza della recitazione: magari la Knightley non potrà reggere il confronto con la Garbo, ma la sua Karenina è uterina e sepolcrale, smaniosa e regale; splendido anche Jude Law, imbruttito con puntiglio, nel ritrarre un Aleksej Karenin in odor di santità senza farne una macchietta.
Un film inaspettatamente sorprendente, immaginifico e contemporaneo, con tutto il coraggio sperimentalista e l’originalità che hanno latitato nel ben più blasonato kolossal di Tom Hooper Les Misérables. Il tempo, forse, farà giustizia.
Giuseppe D’Errico
“Anna Karenina” e la drammaturgia dello spazio
Pregio e difetto di questo riuscito e godibile adattamento cinematografico è l’utilizzo metaforico che ne viene fatto dello spazio.
Pregio perché l’idea di ambientarlo in un teatro ha dei rimandi e degli echi molto forti, all’interno di un’opera come questa, che vive tutta di premonizioni e simmetrie. L’edificio teatrale come simbolo della società ipocrita (che pretendeva le luci accese durante lo spettacolo) responsabile dell’infelicità di Anna. Ma anche come dimora polverosa di personaggi senza tempo.
Difetto perché Wright e Stoppard non lo riescono a gestire fino in fondo, tanto da far diventare di maniera un espediente che poteva elevarsi a significato profondo (si pensi, ad esempio, come Olivier utilizzò un meccanismo analogo nel suo EnricoV). Non si coglie bene la logica dell’apertura degli spazi, il passaggio fra ricostruzione e realtà, la sostituzione del posticcio teatrale al realismo filmico.
Ma i nostri occhi restano incantati e affascinati dallo splendore della confezione, e la nostra mente declina volontariamente qualche inceppo del percorso, prediligendo il gioco ludico di un racconto che ammicca all’ hic et nunc dello spettacolo dal vivo. Spettacolo teatrale per chi ama il cinema e spettacolo cinematografico per chi ama il teatro. Spettacolo che sfida l’unita di luogo (e di senso) in una danza coreografata dalla macchina da presa e da una penna felicemente ispirata. Senza soluzione di continuità, come in un sogno, le barriere spaziali si infrangono, tutto sia crea e tutto si distrugge sotto i nostri occhi. Motivo più che valido per andare a vedere l’ennesimo rifacimento del classico Tolstojano.
Andrea Ozza
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