
L’amore bugiardo – Gone Girl (Gone Girl, Usa, 2014) di David Fincher con Ben Affleck, Rosamund Pike, Neil Patrick Harris, Carrie Coon, Tyler Perry, Kim Dickens, Patrick Fugit, Missi Pyle, Sela Ward, Emily Ratajkowski
Sceneggiatura di Gillian Flynn, dal suo romanzo omonimo
Thriller, 2h 25′, 20th Century Fox, in uscita il 18 dicembre 2014
Voto Ozza: 9 su 10
Voto D’Errico: 8½ su 10
David Fincher, ancor prima che regista di eleganza e raffinatezza sublime, è soprattutto un grande narratore, capace di lavorare con il genere, scardinandone i principi base, rompendo le regole standard, per ricomporli in una nuova forma che, pur non avendo il sapore della novità, ha senza dubbio il profumo di fresco, il sapore dell’esplorazione.
In questo avvincente thriller, dalla trama che tutto può essere meno che originale, è proprio l’intreccio ad avere la meglio: si parte con un whodunit, non si sa chi sia il responsabile della scomparsa di una donna, si ha solo un sospetto (che, con dissacrante ironia, per i mass media è già certezza). A metà del film viene capovolto il funzionamento del racconto: lo spettatore viene informato di chi sia il colpevole, invertendo così la narrazione in un giallo alla Colombo (inverted detective novel). Il tutto con una fluidità, con una sicurezza, con una padronanza che lascia davvero stupiti. Ed è subito spettacolo: intelligente, divertente, proprio grazie alla sua semplicità.
A questo si aggiunge un cast strepitoso. Bravissimi Affleck e Pike.
L’amaro ce lo lascia il finale: ancora una volta Fincher contravviene alle regole, violando un patto, tradendo il desiderio di appagamento dello spettatore, che vorrebbe il prosieguo, il giusto appagamento, la rivincita. Glielo perdoniamo, il film rimane senza dubbio un’opera da vedere.
Andrea Ozza
SECONDA RECENSIONE di Giuseppe D’Errico:
Un quasi capolavoro, e per ragioni ben precise. Non si può certo affermare che Gone Girl esuli dal percorso autoriale di David Fincher: un thriller di coppia che si trasforma in una clamorosa satira sociale sul potere accentratore della comunicazione in senso lato, agli estremi di una naturale prosecuzione dei traumi psicologici di Millennium e delle fiere di vanità egoistiche, del singolo e della comunità, di The Social Network. Tutti elementi presenti nell’omonimo romanzo best seller di Gillian Flynn, da cui il film è tratto, e che il regista miticizza in un grandioso whodunit dalla forma narrativa in costante mutazione.
Scene da un matrimonio american psycho: Nick (Affleck) e Amy (Pike) sono sposati da cinque anni ma il giorno dell’anniversario di nozze la donna sparisce nel nulla; all’opinione pubblica basterà pochissimo per mettere alla gogna il marito, che si dichiara estraneo ai fatti, anche se tutte le prove sembrano inchiodarlo per omicidio. Ma è solo l’inizio di un gioco al massacro che non lascia progionieri, e di cui Fincher si serve per imbastire uno spietato grottesco degli affetti che attanaglia non soltanto per i paradossi che porta in scena, ma ancor di più per una capacità di irretire lo spettatore con una messa in scena di assoluta potenza e ineccepibile eleganza formale.
A ben vedere, però, la sceneggiatura della stessa Flynn non offre stimoli nuovi alla storia del cinema: se non fosse per il talento di un regista in grado di sublimare l’ovvio all’eccezione, la critica all’ipocrisia mediatica sembrerebbe di grana decisamente grossa, così come l’accumulo di incredibili colpi di scena impedirebbe la costruzione di una rete ben filata e senza nodi lasciati all’occorrenza. Il condizionale è preferibile perché i limiti, è vero, ci sono, ma a vincere è lo spettacolo. Da tempo non si assisteva a un’opera capace di scompigliare i canoni linguistici, visivi e di genere, con una tale fluidità e con un senso del ridicolo tanto amaro, raramente gli attori vengono utilizzati con questa specifica cognizione di causa (mai così perfetto Affleck, incarnazione ideale dell’americano medio un po’ ingenuo, magnifica Rosamund Pike, quintessenza della bionda glaciale, esemplare Harris, ossessivo compulsivo senza vezzi). Gone Girl probabilmente non si inventa nulla, ma sicuramente regala quasi due ore e mezza di elettrizzante intrattenimento senza cedimenti, rinverdendo i fasti del grande giallo coniugale e insinuando più di qualche certezza nelle fobie socio-patologiche contemporanee.
Giuseppe D’Errico
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