Allacciate le cinture (Italia, 2014) di Ferzan Ozpetek, con Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Elena Sofia Ricci, Carolina Crescentini, Francesco Scianna, Carla Signoris, Paola Minaccioni, Giulia Michelini, Luisa Ranieri, Maria Sole Piccinni, Alessandro Paticchio
Sceneggiatura di Ferzan Ozpetek e Gianni Romoli
Drammatico, 1h 53′, 01 Distribution, in uscita il 6 marzo 2014
Voto: 5 su 10
Era da un po’ di tempo che Ferzan Ozpetek presenziava a vari eventi legati alla lotta contro il cancro, si faceva vedere al fianco dell’oncologo Umberto Veronesi e proprio per l’Airc – l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro – aveva diretto una serie di spot televisivi sensibilizzanti. L’impegno del regista italo-turco trova l’acme artistico nell’ultimo Allacciate le cinture, a quasi due anni dall’insuccesso dell’ambizioso Magnifica presenza. In pochi erano a conoscenza del tema toccato dal film e, complice un cast ricchissimo, le aspettative erano molto alte. Per questi e altri motivi, spiace sinceramente dover parlare in termini poco benevoli del lavoro di uno dei nostri autori più talentuosi ed emozionali.
Il grande amore che non avrà mai fine, come strilla la calda locandina, è quello tra Elena (Smutniak) e Antonio (Arca), cameriera altruista e progressista lei, meccanico burino e razzista lui. Nonostante i caratteri divergenti e un impegno sentimentale per entrambi – lei sta con Giorgio (Scianna) da due anni, lui è il nuovo ragazzo di Silvia (Crescentini), collega di Elena – i due non riescono a frenare un’attrazione fisica implacabile. Dopo tredici anni li ritroviamo sposati, con due figli e molte incomprensioni. Elena ha realizzato il sogno di aprire un pub insieme all’inseparabile amico Fabio (Scicchitano), Antonio si divide tra officina, donne e calcetto. Una malattia improvvisa e violenta rimetterà in discussione i rapporti e stravolgerà gli equilibri fra tutti i personaggi che li circondano.
Per Ozpetek, Allacciate le cinture rappresenta un ritorno a casa, dopo la non facile collaborazione con Domenico Procacci, rivelatasi fallimentare non solo nel caso del già citato Magnifica presenza, ma soprattutto con l’odiatissimo Un giorno perfetto. Per l’occasione, torna ad affiancarsi nella scrittura al suo co-sceneggiatore storico Gianni Romoli, con cui firmò grandi successi come Le fate ignoranti e La finestra di fronte, in un epoca assai ostile e ben poco solidale alla diversità, e da lui si fa nuovamente produrre, nella speranza di ritrovare la mano felice che, ultimamente, sembrava aver perso ispirazione e orientamento.
Ebbene, il risultato è un film decisamente mal scritto, che nel giro di breve tempo diventa la summa di tutti gli stereotipi del cinema ozpetekiano. L’indubitabile padronanza del mezzo tecnico che da sempre viene riconosciuta al regista, non è che un mero orpello al servizio del più sfacciato dei melodrammoni tumorali, con tanto di sesso disperato nella camera d’ospedale tra la malata smunta e il macho tormentato. Il proposito di trattare un tema doloroso con l’arma della leggerezza, secondo una formula che unirebbe dramma e commedia alla maniera della vita vera, si traduce in una galleria di macchiette (le zie litigiose, la parrucchiera napoletana procace, il gay tenero e simpaticone, la malata terminale linguacciuta) col compito di smorzare l’ira funesta del cancro a suon di battutine e situazioni slegate dal contesto e, pertanto, artificiose e stucchevoli. A farne le spese ci sono attori (Carla Signoris, Paola Minaccioni e soprattutto un meraviglioso Filippo Scicchitano) degni di migliori occasioni, e la città di Lecce, retrocessa a semplice location vacanziera che nulla ha a che fare con la trama e i personaggi.
Se Ozpetek voleva raccontarci qualcosa di reale e realistico con simili mezzi, ha clamorosamente sbagliato gli intenti: Allacciate le cinture è una cartolina grondante sentimentalismo, incapace di far venire i lucciconi agli occhi e mirata a un facile successo commerciale che non tarderà ad arrivare (complici il ritmo accelerato e un trailer confezionato ad arte, con il pezzo trainante di Rino Gaetano A mano a mano). Tutto è calcolato all’eccesso, dagli elaborati pianosequenza iniziali fino ai salti temporali che si risolvono in una scontata narrazione circolare, dove la recitazione della Smutniak incombe in tutta la sua mestizia. Francesco Arca, manzo sporco di grasso e tatuato come da peggiori fantasie queer (en passant, è anche dislessico che fa tanto cucciolo) si applica con umiltà, e ha una parte del corpo molto espressiva e notevolmente valorizzata. Non sono gli occhi.
Giuseppe D’Errico
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