“Wonder Woman”, un film di Patty Jenkins, la recensione

Wonder Woman (id, Usa, 2017) di Patty Jenkins con Gal Gadot, Chris Pine, Connie Nielsen, Robin Wright, Danny Huston, David Thewlis, Saïd Taghmaoui, Ewen Bremner, Eugene Brave Rock, Lucy Davis, Elena Anaya

Sceneggiatura di Allan Heinberg, basato sul personaggio DC Wonder Woman creato da William Moulton Marston

Avventura, 2h 01’, Warner Bros. Pictures, in uscita il 1 giugno 2017

Voto: 5½ su 10

Erano in molti ad attendere l’uscita in sala di quest’ultimo cinecomic targato DC: il primo interamente dedicato ad un’eroina femminile e il primo, in aggiunta, ad essere diretto da una donna. Chi segue il genere – fortunato al botteghino ma vituperato dai critici (tutti i film prodotti dopo “Il cavaliere oscuro” di Christopher Nolan hanno costantemente deluso le aspettative) – ben conosce il marchio di fabbrica che i blockbuster tratti dai comic books di questa casa editrice portano con sé: supereroi dagli animi oscuri, dark come i film dei quali sono protagonisti, che combattono, in grandeur hollywoodiana, per risolvere dilemmi di natura etico-esistenziale.

locandinapg4In parte aderisce agli stilemi del genere ed in parte se ne affranca questa trasposizione cinematografica del personaggio creato da William Moulton Marston: questa incarnazione della principessa delle amazzoni è sì mossa da alti ideali etici (le guerriere di Temiscira sono state create per portare la pace al genere umano), ma sovrabbonda di gag umoristiche e presentando, di fatto, la sua protagonista come un personaggio animato da onesti ma ingenui idealismi, la espone, più volte nel corso narrazione, non solo al sorriso ma (ben meno faustamente) anche al rischio del ridicolo.

Si inizia con una digressione sulle origini del personaggio, il suo addestramento nell’isola delle donne-guerriere ad opera della Antiope interpretata da Robin Wright e si prosegue assistendo all’allontanamento dell’eroina dalla sua terra natia in compagnia di una spia inglese (Chris Pine) che la accompagnerà tra le trincee della prima guerra mondiale per tentare di scongiurare il destino di distruzione che attende la specie umana.

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A sostenere la godibilità della visione è Gal Gadot, una Wonder Woman di grande fascino, meno ipersessuata dell’omologo televisivo incarnato anni addietro dalla bellissima Lynda Carter, ma non per questo meno magnetica nella sua capacità di dare corpo ad un icona femminile che si è imposta nell’immaginario collettivo a partire dalla sua primissima apparizione, negli Anni ’40 del secolo scorso. Molte altre attrici sarebbero apparse risibili nella sequenza di costruzione epica del personaggio – Diana Prince esce dalla trincea e svela le proprie grazie con falcata da modella in passerella, diretta alla conquista delle linee nemiche – eppure questa attrice israeliana ha grazia ed eleganza a sufficienza da permetterle di mantenere il precario equilibrio che separa la credibilità dall’assurdo, la rappresentazione mitica dell’eroe dalla caricatura della macchietta. Funziona anche l’intesa con la controparte maschile (benché la scena della seduzione di Steve Trevor appaia affrettata e superflua) e certo le scene nelle quali Gadot impugna spada e scudo sono l’apoteosi di un action movie destinato ai grandi incassi.

Con mano ferma, infatti, Patty Jenkins ci mostra, soprattutto nella prima parte del film, sequenze di combattimento godibili e ben orchestrate, che tuttavia peggiorano con l’incedere della storia, tramutandosi in cartoonesche performance, nel terzo atto della storia, contro un villain per il quale si ha il serio sospetto di un grossolano errore di casting.

Diamo quindi il benvenuto ad una “nuova” eroina che non mancherà di trovare un proprio spazio nei blockbuster a venire, sperando che futuri sceneggiatori sappiano scrivere per lei storie di maggior spessore, degne di rappresentare alle future generazioni un modello di femminilità differente, altrettanto appagante sotto il profilo della rappresentazione spettacolare ma meno macchiettistico per quanto riguarda la raffigurazione di protagonisti e antagonisti.

Marco Moraschinelli    

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