“The wedding party”, trite ritualità matrimoniali in un film patetico

The wedding party (Bachelorette, 2012, Usa) di Leslye Headland con Kirsten Dunst, Lizzy Caplan, Isla Fisher, Rebel Wilson, James Marsden, Adam Scott.

Sceneggiatura di Leslye Headland, tratto dalla sua omonima pièce teatrale.

Commedia, 1h 28’, Lucky Red/Key Films. In uscita l’11 ottobre 2012.

Voto: 3 su 10

Matrimoni, addii al nubilato, ritualità dei preparativi, dubbi da celebrazione e quant’altro abbia minimamente a che fare con le gioie (e non solo) della sacra unione di coppia, ormai costituiscono elementi irrinunciabili per quello che, ad oggi, rappresenta un vero e proprio genere cinematografico in piena ascesa: il wedding movie.

Dimentichiamo il glorioso passato di pellicole deliziosamente vetrioliche sull’ansia del rito come Il padre della sposa di Vincente Mannelli o anche le divertenti battaglie culturali de Il mio grosso grasso matrimonio greco; adesso lo sposalizio va di moda sboccato, alcolico, drogato e possibilmente privato di ogni sacralità.

Non ultimo arriva il film dell’esordiente Leslye Headland, che porta sul grande schermo la riduzione del proprio testo teatrale omonimo.

Quando Becky “faccia di maiale” (Rebel Wilson) annuncia di essere in procinto di sposarsi, le sue storiche amiche del liceo reagiscono in modo piuttosto sconcertante: c’è l’algida e nevrastenica Regan (Kirsten Dunst) che, in qualità di prima damigella, combatte l’invidia a colpi di dictat organizzativi; c’è la volgare Gena (Lizzy Caplan) che pensa bene di flirtare con l’ex che a quindici anni la lasciò incinta; e c’è Katie (Isla Fisher), una svampita party girl che, tra cocktail e cocaina, tenta addirittura il suicidio.

Non si direbbe ma il film si presenta in forma di commedia, pur alternando con rara goffaggine elementi drammatici ad altri più smaccatamente triviali. Inutile dirlo, i due registri non si amalgamano mai, l’ironia è talmente mal riuscita da gelare ogni possibile predisposizione e la superficialità con cui vengono gettati nel calderone nuziale spunti ben più pesanti quali i disturbi alimentari delle protagoniste o l’uso di droga lasci semplicemente demoralizzati.

Stupisce, inoltre, come nel 2012 si possano proporre al cinema dei modelli di donna emancipata di tale preistoricità, dove il potere femminino, più che sesso forte, tende al sesso facile, al piagnisteo e alla vendetta.

Chissà perché, ma da questo film ci si aspettava altro, forse perché presentato in vari festival internazionali (dal Sundance a Locarno), forse per la presenza nel cast della brillante Kirsten Dunst, ultimamente sempre più impegnata in pellicole di alto profilo; invece Bachelorette (ma quanto è triste e cheap l’inglese tradotto con l’inglese esterofilo del titolo italiano?) è solo una copia scialbissima, oltre che moralmente ripugnante, dei recenti Una notte da leoni e Le amiche della sposa, con cui condivide anche l’adorabile buzzicona Rebel Wilson, qui piuttosto sprecata.

Appuntamento al prossimo invito a nozze.

Giuseppe D’Errico

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