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“The Big Wedding”, cast allo sbando in una commedia disastrosa

The Big Wedding (id, Usa, 2012) di Justin Zackham con Robert De Niro, Diane Keaton, Susan Sarandon, Katherine Heigl, Topher Grace, Ben Barnes, Amanda Seyfried, Robin Williams, Christine Ebersole, David Rasche, Patricia Rae, Ana Ayora

Sceneggiatura di Justin Zackham

Commedia, 1h 29′, Universal Pictures/ Leone Film Group, in uscita il 26 giugno 2014

Voto: 3 su 10

Uno dei tonfi più colossali della passata stagione cinematografica statunitense arriva nelle nostre sale sotto il sole di giugno. Se ne poteva fare a meno, perché The Big Wedding è quanto di più stupido, pretestuoso e volgare la commedia americana finto-classica abbia da offrire. A dirigere questo remake di uno sconosciuto film francese del 2006 (Mon frere se marie, di Jean-Stephane Bron) è lo sceneggiatore Justin Zackham, che al suo attivo ha di notevole solo la partecipazione al film di Rob Reiner Non è mai troppo tardi

“The Butler”, retorica, lacrime e marketing presidenziale

The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca (The Butler, Usa, 2013) di Lee Daniels, con Forest Whitaker, Oprah Winfrey, David Oyelowo, Robin Williams, Jane Fonda, Alan Rickman, James Marsden, Alex Pettyfer, Vanessa Redgrave, Mariah Carey, Lenny Kravitz, Cuba Gooding jr, John Cusack, Terrence Howard, Liev Schreiber, Jesse Williams, Clarence Williams III, Yaya Alafia, Colman Domingo, Nelsan Ellis, Minka Kelly, Elijah Kelley

Sceneggiatura di Danny Strong, dall’articolo “A Butler Well Served by This Election” di Wil Haygood apparso sul Washington Post il 7 novembre 2008

Drammatico, 2h 18′, Videa, in uscita il 1 gennaio 2014

Voto: 4 su 10

Hollywood non è nuova ai lavaggi di coscienze spettacolarizzati sul grande schermo cinematografico. A dire il vero, l’atteggiamento ha prodotto anche pellicole sinceramente toccanti sull’argomento della segregazione razziale (Il colore viola di Steven Spielberg è solo uno di questi), più spesso ne sono venute fuori operazioni scopertamente programmatiche e didascaliche, atte a colpire principalmente i condotti lacrimali dello spettatore con cascate di melassa e retorica storica. In questo secondo filone rientra, ahinoi, il film dell’impegnato, nero e gay Lee Daniels, solo qualche anno fa artefice di un bel ritratto di degrado sociale contemporaneo, quel Precious candidato a sei Oscar e vincitore di due, che lo consacrò agli occhi del pubblico e alle penne della critica.