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“La Mite” di Fedor Dostoevskij, uno spettacolo di Raffaella Mattioli, la recensione

LA MITE

Liberamente tratto da “La Mite” di Fedor Dostoevskij

Adattamento di Raffaella Mattioli e Rossana Banti

con Leonardo Sbragia, Giorgia di Cristofalo

Musiche di Led Zeppelin – Maria Teresa Vera – Bach- Vivaldi- Radiohead – René Aubry – Alexandra Strelinsky

Scene e costumi – Giuseppe Miraudo, Luci – Chico de Maio

Regia e coreografie Raffaella Mattioli

Andato in scena all’Off/Off Theatre di Roma

Voto: 6 su 10

“La mite”, titolo del racconto che Fedor Dostoevskij terminò di scrivere nel 1876, è l’aggettivo che sostanzia la breve vita di una ragazza morta suicida; la storia della giovane, immaginata a partire da un fatto di cronaca realmente accaduto, è quella di un matrimonio-prigione dal quale quest’infelice fugge gettandosi dalla finestra del proprio appartamento.

Ripercorriamo l’esistenza della protagonista attraverso il racconto che di lei ne fa suo marito, un ex militare reinventatosi usurario: il loro incontro, la proposta di matrimonio, la convivenza e – nell’infelicità – il tragico epilogo.

“Che fine hanno fatto Bette Davis e Joan Crawford?” di Jean Marboeuf, uno spettacolo di Fabrizio Bancale, la recensione

Florian Metateatro e Stellarfilm con il sostegno di ProdigioDivino

CHE FINE HANNO FATTO BETTE DAVIS E JOAN CRAWFORD?

di Jean Marboeuf

traduzione Riccardo Castagnari

con Gianni De Feo e Riccardo Castagnari

regia Fabrizio Bancale

Scene Roberto Rinaldi

musiche originali Francesco Verdinelli

assistente alla regia Sebastiano Di Martino

disegno luci Alessio Pascale

ufficio stampa Carla Fabi Roberta Savona, foto Giancarlo Casnati

In scena all’OFF/OFF Theatre di Roma dal 22 al 31 ottobre

Voto: 8 su 10

A volte ritornano, Bette Davis e Joan Crawford sempre. Volti iconici di un cinema davvero senza tempo, dive che hanno attraversato mode ed epoche, donne da sempre in lotta per l’autoaffermazione. Quella ranocchia della Davis, la più grande di tutte, nessuna come lei, una carriera leggendaria che scorre parallela a un temperamento che ha fatto tremare le mura di Hollywood; la cover girl Crawford, infanzia traumatica segnata da violenze e povertà, una bellezza straordinaria divenuta poi mascherone horror per alcune memorabili bitch eponime (la sua Harriet Craig era tutto un programma di blandizie). Inarrivabili gli alti di Bette, pretendeva la luna e non solo le stelle, Joan le fu sempre seconda, nonostante alcune importanti occasioni per riacquistare terreno sull’acerrima rivale. Proprio quando sembrava che per loro non ci fosse più spazio sul grande schermo, arrivò l’opportunità di dividere un set che, per varie ragioni, ha rappresentato per entrambe un nuovo inizio: fu la Crawford a proporre alla Davis il romanzaccio dal quale verrà tratto Che fine ha fatto Baby Jane?, prova del nove per una faida destinata a infrangersi oltre i confini della storia del cinema.

“Dialoghi/Platone”, uno spettacolo scritto e diretto da Giovanni Franci, la recensione

DIALOGHI/PLATONE

scritto e diretto da Giovanni Franci

con PAOLO GRAZIOSI

e con Gianmarco Bellumori, Alberto Melone, Riccardo Pieretti e Fabio Vasco

elaborazioni digitali Nuvole Rapide Produzioni, assistente Fabio Del Frate

SPETTACOLO PRODOTTO DA FONDAMENTA Srl

Dal 10 al 20 ottobre all’OFF/OFF Theatre di Roma

Voto: 4½ su 10

Da uno dei giovani autori più interessanti della scena teatrale contemporanea, ecco quella che forse rappresenta la sua prova più ingenua e involuta. Con Dialoghi/Platone, che pure ha aperto la stagione di uno dei palchi più preziosi della capitale, l’OFF/OFF Theatre in via Giulia, Giovanni Franci compie il fatale errore di voler rendere attuale un discorso filosofico di per sé universale. Lo fa partendo dall’Apologia di Socrate, inestimabile compendio platoniano sul pensiero del grande filosofo greco e sul processo che lo vide accusato di corruzione verso le giovani menti e di ateismo: una compagnia d’attori vuole metterne in scena le fasi salienti, alternando così riflessioni sul significato delle parole e sul peso delle proprie scelte, a un ideale scambio di battute tra il maestro e i suoi discepoli.

“Tra Bette e Joan un disperato odio e tanta solitudine”, incontro con Riccardo Castagnari e Gianni De Feo

Il 22 ottobre, all’Off/Off Theatre di Roma, debutterà una prima nazionale che ha il sapore dell’evento, Che fine hanno fatto Bette Davis e Joan Crawford?, pièce dell’autore francese Jean Marboeuf che arriva sul palco con la regia di Fabrizio Bancale, dopo anni di studi e riflessioni da parte dei due attori protagonisti, Riccardo Castagnari e Gianni De Feo, coinvolti in una delicata prova en travesti. Il testo ripercorre in modo brillante l’ormai storica faida artistica, che ebbe poi importanti ripercussioni sul privato, delle due indimenticabili dive americane, all’alba del set che le riunì per la prima volta sul grande schermo per il cult movie di Robert Aldrich Che fine ha fatto Baby Jane?, nel 1962. Abbiamo incontrato i due artisti.

Castagnari, pur conoscendoci noi da tempo, per questa intervista a due voci adotteremo la cortese formalità del “lei”, sia per rispetto al signor De Feo, che incontro per la prima volta, sia per creare un elegante e ossequioso distacco che è doveroso riservare ai due mostri sacri al centro della vostra nuova avventura divistica. Come ci si prepara a un simile compito? 

Castagnari: Sono partito naturalmente da Che fine ha fatto Baby Jane? e poi mi sono visto tutti i film della Crawford, dando una precedenza e una preferenza a quelli doppiati dalla Simoneschi (perché alla Lattanzi mi ero già ispirato per la Dietrich e, guarda caso, Tina Lattanzi e Lydia Simoneschi hanno proprio doppiato entrambe). Temevo una somiglianza tra le due, invece studiandole entrambe (Dietrich e Crawford) mi sono reso conto che sono profondamente diverse: camminata, atteggiamenti, sguardi, alterigia… sicuramente carattere forte per entrambe ma con più di qualche semplice sfumatura di differenza. Spero perciò di riuscire a rendere giustizia anche a Joan e non rischiare un doppione.

De Feo: La preparazione di uno spettacolo richiede comunque una lunga dedizione di tempo durante il quale ci si concentra su vari elementi. Prima di tutto, un attento e minuzioso lavoro sul testo, l’analisi dei personaggi e la loro relazione. Nel caso specifico, in cui affrontiamo delle Icone del cinema, abbiamo cercato di mantenere un rigore tale da scongiurare una goffa imitazione o, peggio ancora, la tentazione di una facile parodia. Abbiamo studiato ogni gesto, ogni sguardo, visto film, immagini, interviste. Ma la fase più interessante è senza alcun dubbio il momento in cui senti di vestire i panni del personaggio, cercando continuamente un equilibrio (a volte precario) tra il distacco e l’abbandono. È il momento in cui metti in relazione il personaggio al tuo personale stile, alle proprie “tendenze attoriali”, al gusto e all’esperienza teatrale.

“Truman Capote. Questa cosa chiamata amore” di Massimo Sgorbani, uno spettacolo di Emanuele Gamba, la recensione

TRUMAN CAPOTE
QUESTA COSA CHIAMATA AMORE
di Massimo Sgorbani

con Gianluca Ferrato
scene Massimo Troncanetti
costumi Elena Bianchini
aiuto regia Jonathan Freschi
regia Emanuele Gamba

presentato da Florian Metateatro in collaborazione con il Teatro Nazionale della Toscana

In scena dal 15 al 17 marzo all’Off/Off Theatre di Roma

Voto: 8 su 10

Ho cominciato a scrivere a otto anni: di punto in bianco, senza un esempio ispiratore. Non avevo mai conosciuto qualcuno che scrivesse, anzi conoscevo pochi che leggessero. Ma sta di fatto che solo quattro cose mi interessavano: leggere libri, andare al cinema, ballare il tip tap e fare disegni. Poi un giorno mi misi a scrivere, ignorando di essermi legato per la vita a un nobile ma spietato padrone. Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta è intesa unicamente per l’autoflagellazione.

(Truman Capote, Musica per camaleonti)

Una delle più grandi personalità culturali del Novecento, scrittore, giornalista, dandy, omosessuale. È curioso constatare come le più importanti e profetiche riflessioni critiche sulla società e i costumi del secolo scorso provengano da discussi personaggi orgogliosamente gay: Truman Capote in America come Pier Paolo Pasolini in Italia, in un ideale abbraccio sofferto che ci piace immaginare mettendo a confronto i loro scritti, così distanti per prosa e sensibilità, eppure così lucidi e feroci nella loro indagine umana.

“Per strada” di Francesco Brandi, uno spettacolo di Raphael Tobia Vogel, la recensione

PER STRADA
di Francesco Brandi

con Francesco Brandi e Francesco Sferrazza Papa
regia Raphael Tobia Vogel
Video e foto di scena Cristina Crippa
Assistente alla regia Gabriele Gattini Bernabò
Direttore dell’allestimento Lorenzo Giuggioli
Responsabile sartoria Simona Dondoni
Costruzione scene Marco Pirola
Elettricista Stefano Chiovini
Tecnico luci/audio/video Davide Marletta
Sarta Laura Fantuzzo
Produzione Teatro Franco Parenti

In scena all’Off/Off Theatre dal 10 al 22 aprile

Voto: 8 su 10

Drammaturgia incisiva, recitazione perfetta, regia misurata ed efficace: nell’equilibrio di questi tre elementi, un racconto scenico di malinconica grazia, per narrare la storia di due persone che per un caso si incontrano e che – per una manciata di ore – percorrono un tratto di strada assieme.

“Dagli abiti della Dietrich, entro in quelli di una sconosciuta drag queen”, incontro con Riccardo Castagnari

Era il 2001 quando Riccardo Castagnari stregò tutti con la sua Marlene D.. Sono passati quasi 18 anni da quella memorabile interpretazione, che tanti consensi raccolse anche fuori dal territorio nazionale. Dai sontuosi abiti della Dietrich adesso Castagnari si allontana, speriamo, momentaneamente per evocare un’altra storia. Stiamo parlando di DI-VI-NA, per Vocazione Star, il nuovo spettacolo con cui il talentuoso attore e regista debutterà in prima nazionale nel neonato spazio OFF/OFF Theatre di Roma il 30 Gennaio, restando in scena fino al 4 febbraio. Lo abbiamo incontrato.

Ormai ci siamo quasi per questo nuovo debutto. Castagnari, lei sente
sempre la tensione di una prima nazionale, nonostante i successi
ottenuti anche all’estero?

Sì, naturalmente sì. Tensione e paura, affiancate. È sempre e comunque un salto nel vuoto quello che si fa. Quando da ragazzino frequentavo l’Accademia milanese del Filodrammatici, ebbi la fortuna di incontrare e conoscere Milly. Una delle domande che le rivolsi fu proprio questa: “Signora, dopo tanti anni di successo e di carriera lei ha ancora paura prima di entrare in scena?” Lei mi guardò da sotto in su, attraverso i suoi occhialetti da vista, e mi disse: “Sempre! Quando finisce la paura, lì comincia il tecnico e finisce l’artista!” Fu una frase che mi colpì molto e che si scolpì nella mia mente a caratteri di fuoco. Da allora mi accompagna sempre, ad ogni debutto, ma anche ad ogni replica. A Parigi ad esempio, quando con Andrea Calvani, il maestro che da sempre mi accompagna al pianoforte, eravamo in scena aspettando che si aprisse il sipario, sentivamo che il brusio in sala era differente… era francese(!). Da lì a poco il sipario si sarebbe aperto e Marlene (io) avrebbe parlato a quel pubblico d’oltralpe per oltre un’ora e mezza in una lingua non sua! Il terrore correva davvero sul filo, e Milly, per tutti quegli splendidi tre mesi parigini,è stata sempre con noi, presente con quella sua frase, regalata molti anni prima ad un ragazzino che sognava di fare l’attore.