“Suspension of disbelief”, il noir vivisezionato da Mike Figgis

Suspension of disbelief (id, GB, 2012) di Mike Figgis con Sebastian Koch, Lotte Verbeek, Emilia Fox, Julian Sands, Rebecca Night, Lachlan Nieboer.

Sceneggiatura di Mike Figgis

Noir, 1h 47’

Festival Internazionale del Film di Roma 2012, CineMaXXI

Voto 5½ su 10

Non è facile costruire l’intrigo perfetto, quello che inchioda alla poltrona e stupisce ad ogni sua svolta. Lo sa bene Mike Figgis (Mr. Jones, Via da Las Vegas), negli ultimi anni particolarmente tormentato dalla ricerca spasmodica di una narrazione filmica che possa soddisfare e, allo stesso tempo, ingannare lo spettatore senza colpo ferire.

Destò scalpore, nel 2000, il suo Timecode, un film-puzzle girato in quattro lunghi piani sequenza mostrati contemporaneamente sullo schermo con l’uso dello split screen, e tutti collegati a livello narrativo tra loro, anche attraverso un sottotesto comune sul mondo del cinema.

Con Suspension of disbelief (letteralmente, sospensione dell’incredulità), il regista inglese sembra quasi voler proporre una sorta di ideale prosecuzione a quell’esperimento eccentricamente metatestuale, evolutosi ora in una esibita dichiarazione d’intenti: dimostrare quanto sia facile cadere nelle trappole del noir attraverso la rappresentazione di un noir costruito ad hoc.

Martin (Sebastian Koch) è uno sceneggiatore e professore di scrittura scenica che, in una lezione ai suoi allievi, espone le sue teorie su come vada composto un compiuto canovaccio giallo. Martin, però, è anche un marito abbandonato misteriosamente dalla moglie (Emilia Fox) da oltre quindici anni e che, ad una festa, conosce la provocante Angelique (Lotte Verbeek), rinvenuta cadavere qualche giorno dopo. Gli equilibri, già precari, verranno totalmente incrinati dall’arrivo di Thérése (sempre la Verbeek), sorella gemella della vittima, che instaurerà con l’uomo un rapporto fitto di ambiguità e segreti.

Il titolo già mette le mani avanti, auspicando a quel delicatissimo stato mentale indispensabile al coinvolgimento emotivo in una situazione di finzione cinematografica, tant’è che la storia, o almeno quello che dovrebbe rappresentare il focus principale e cioè il mistero tra Martin e Thérése, non sembra discostarsi poi troppo da un canone del genere che, per personaggi e situazioni, rinvia molto ad autori come Hitchcock e, quindi, De Palma.

I principali motivi di interesse del film provengono, invece, dalla cornice meta-filmica, esposta e mai nascosta, e per questo ancor più macchinosa, in cui le regole del noir classico (quello alla Bogart) vengono volutamente contaminate con elementi spuri e più indelicatamente moderni, producendo un tilt tra stesura narrativa, messa in scena visiva e vita vera in cui è facile (e piacevole) perdersi.

Peccato, però, che Figgis non riesca a tenere a freno le velleità dissacranti del progetto che, per colpa di un ritmo catatonico e di una progressione degli eventi piuttosto piatta benché elegantemente presentata, finisce per sembrare solamente un gioco di scatole cinesi fine a se stesso, cerebrale e sterile.

Di algida ricercatezza la confezione, così come le performance tese degli ottimi interpreti.

Giuseppe D’Errico

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