“Sils Maria” di Olivier Assayas, metacinema cerebrale about Juliette

Sils Maria (Clouds of Sils Maria, Francia/Germania/Usa/Svizzera, 2014) di Olivier Assayas con Juliette Binoche, Kristen Stewart, Chloë Grace Moretz, Lars Eidinger, Johnny Flynn, Brady Corbett

Sceneggiatura di Olivier Assayas

Drammatico, 2h 04′, Good Films, in uscita il 6 novembre 2014

Voto: 6½ su 10

Quando si ha voglia di parlare di nuovo cinema francese in termini lusinghieri, uno dei nomi che subito balzano all’attenzione è quello di Olivier Assayas, autore originale e mai scontato, responsabile di alcuni dei risultati più alti delle recenti produzioni d’oltralpe, non ultimo il nostalgico Qualcosa nell’aria, visto a Venezia 69. Con Clouds of Sils Maria, in concorso all’ultimo Festival di Cannes, il regista porta alle estreme conseguenze una dialettica cinematografica al femminile tra attore e personaggio che, già più volte raccontata al cinema (il caso più celebre resta Eva contro Eva di Mankiewicz), termina qui in un corto circuito psicanalitico estremamente freddo.

MOV_0b41f489_bPartendo direttamente dall’esperienza artistica e privata di Juliette Binoche, Assayas ci trasporta nell’universo interiore di un’affermata interprete teatrale e cinematografica, Maria Enders, nel momento in cui si ritrova a dover riprendere in mano la piéce che la lanciò da ragazza, nel ruolo di una giovane ambiziosa che ammalia e induce al suicidio la sua datrice di lavoro più matura. Ora, però, le tocca la parte di chi soccombe, al fianco di una popolare star del gossip (Moretz). Il tutto mentre è intenta ad affrontare un doloroso divorzio e a sopportare la morte del regista che un tempo la scelse proprio per quel ruolo. Ad accompagnarla in questo delicato viaggio nella propria consapevolezza di donna e di attrice c’è la sua assistente (una sorprendente Kristen Stewart), contraltare a tutte le sue angosce.

Forte di una costruzione narrativa elegantemente elaborata e dei meravigliosi scenari alpini della Maloja, il film pecca forse troppo di saccenza nell’approfondimento spietato di un’identità messa in crisi dal tempo e dalle circostanze, nel senso che raramente si riesce ad empatizzare con un personaggio tanto chiuso nella sua problematicità come quello interpretato superbamente dalla Binoche. Dialoghi fluviali impediscono un reale interesse per situazioni in teoria già viste e nella concretezza assai lontane dal suscitare una vera immedesimazione. Ciò non mette in discussione l’intelligenza con cui il regista ha reinventato, anche dal punto di vista visivo, i canoni di un discorso filmico che passa in rassegna Bergman e il grande classico hollywoodiano, senza però aggiungere quella parte di cuore utile a rendere più praticabile un percorso che resta troppo asettico e mentale.

Giuseppe D’Errico

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