“Sette minuti dopo la mezzanotte”, un film di J. A. Bayona, la recensione

Sette minuti dopo la mezzanotte (A Monster Calls, Spagna/GB/USA, 2016) di Juan Antonio Bayona con Sigourney Weaver, Felicity Jones, Lewis MacDougall, Toby Kebell, Liam Neeson, Geraldine Chaplin, Ben Moor

Sceneggiatura di Patrick Ness, basato sull’omonimo romanzo, da un’idea originale di Siobhan Dowd

Drammatico, 1h 48′, 01 Distribution/Leone Film Group, in uscita il 18 maggio 2017

Voto: 7½ su 10

C’è un mostro nella vita del dodicenne Conor O’Malley che tormenta le sue notti, causandogli incubi spaventosi, e che minaccia di cambiare definitivamente il corso della sua esistenza: quel mostro non è l’enorme albero che viene a parlargli sette minuti dopo la mezzanotte, ma il ben più reale tumore che sta spegnendo la vita di sua madre.

Sette-Minuti-Dopo-La-Mezzanotte-PosterL’ultima fatica cinematografica dello spagnolo Juan Antonio Bayona è un film dolorosamente reale a dispetto dell’elemento fantasy che ne sostiene parte della messa in scena, addirittura prevedibile nell’evoluzione di alcuni dei suoi snodi narrativi, ma non per questo meno sorprendentemente onesto nella sua maniera di raccontare la malattia dal punto di vista di un bambino “troppo grande per essere considerato un ragazzo e troppo piccolo per potersi dire uomo”.

Benché il film sia forse inferiore rispetto ai precedenti lavori di Bayona (meno originale rispetto a The orphanage e meno cinematograficamente possente rispetto a The impossibile) rappresenta un ulteriore ragionamento sul tema del rapporto fra madri e figli, ed è una “favola” oscura di sincera forza emotiva. Sincera poiché la sceneggiatura è tratta dal testo che Patrick Ness pubblicò basandosi sugli scritti di Siobhan Dowd, autrice di libri per bambini che riuscì ad abbozzare questa fiaba prima di ammalarsi e di morire di cancro.

SetteminutiAltrettanto veritiera è l’interpretazione che Lewis MacDougall regala al racconto del difficile viaggio emotivo di Conor, tanto nell’affrontare i temi centrali del distacco e del senso di colpa, quanto nel tratteggio delle difficili relazioni che lo legano alle persone che compongono la sua famiglia. Non meno edulcorate, in questo senso, solo le prove attoriali del resto del cast: Felicity Jones è l’impotenza e la rabbia di una donna costretta ad arrendersi al male, Sigourney Weaver disegna un personaggio in cui in egual misura si riconoscono fierezza e fragilità, mentre Toby Kebbell ben interpreta il ruolo di un padre che si trova  a destreggiarsi tra egoismo e amore.

Si aggiunga un sottotesto che indica fantasia e passione per l’arte come forze consolatorie e salvifiche in un film nel quale sono inserite sequenze di animazione di notevolissima fattura, ad ulteriore merito di un lungometraggio nel quale l’elemento fantastico – a differenza di tanti roboanti blockbuster provenienti da oltreoceano – aggiunge spessore alla  sceneggiatura senza  pretendere di esserne l’elemento di maggior attrattiva.

Marco Moraschinelli

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