“Rosalyn” di Edoardo Erba, uno spettacolo di Serena Sinigaglia, la recensione

ROSALYN
di Edoardo Erba

Regia di Serena Sinigaglia
Con Marina Massironi e Alessandra Faiella
Assistente alla regia: Mila Boeri
Scenografia: Maria Spazzi
Costumi: Erika Carretta
Sound – Light design: Roberta Faiolo
Fotografie: Marina Alessi

In scena al Teatro Sala Umberto di Roma dal 22 febbraio all’11 marzo 2018

Voto: 6 su 10

Esther è una scrittrice americana di successo, la incontriamo quando si trova nella sala interrogatoria di un commissariato di polizia. Ascoltiamo questa donna parlare di se stessa, mentre tenta di ricostruire alcuni fatti avvenuti anni prima, nel corso di un breve viaggio in Canada. Sembra – questo asseriscono gli investigatori che la stanno interrogando – che un suo oggetto sia stato rinvenuto tra le vesti di un cadavere, un uomo che Esther, però, dice di non aver mai conosciuto. Il suo racconto la porta, invece, a riferire della relazione che strinse con un’altra anima, Rosalyn, donna delle pulizie incontrata per un equivoco, una Lei differente, più grossolana, di poca o nulla cultura ma animata da un infantile e contagioso istinto di sopravvivenza. E desiderosa di vendetta.

Inizia come una commedia umoristica e si trasforma poco a poco in uno psico-thriller questo lavoro teatrale che Serena Sinigaglia allestisce sulla drammaturgia di Edoardo Erba, un labirinto del pensiero, declinato tutto al femminile, sottolineato ed amplificato dall’efficace costruzione scenografica messa in piedi da Maria Spazzi, un pavimento inclinato che costringe le due protagoniste di questa pièce a movimenti precari attraverso un micro dedalo di scalini, ad amplificare la sensazione di incertezza e di precari dis-equilibri.

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Lo spettacolo in scena al teatro Sala Umberto di Roma non si fregia di una particolare originalità della trama (gli spettatori più avvezzi ai meccanismi del genere potrebbero con una certa facilità immaginare l’incedere degli eventi) e le pur brave Alessandra Faiella e Marina Massironi sembrano più a loro agio nella prima parte della rappresentazione, quando il tono brillante della scrittura concede loro situazioni e battute di leggiadra efficacia.

Meno convince l’evoluzione drammatica dell’interrogatorio che mette a nudo l’anima più oscura delle due protagoniste, un inganno di scrittura che non si traduce in una rappresentazione emozionale soddisfacentemente incisiva, e che rende meno efficace il cambio di registro che avrebbe potuto essere il punto di forza di un lavoro teatrale riuscito, dunque, solo a metà.

Marco Moraschinelli

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