Escobar: Paradise Lost (id, Francia/Spagna, 2014) di Andrea Di Stefano con Josh Hutcherson, Benicio Del Toro, Claudia Traisac, Brady Corbet, Ana Girardot, Carlos Bardem
Sceneggiatura di Andrea Di Stefano
Thriller, 2h
Voto: 7 su 10
Un esordio registico inaspettato, quello di Andrea Di Stefano, nostro buon attore (visto, tra gli altri, in Cuore sacro di Ozpetek e ne Il fantasma dell’Opera di Argento) che da qualche anno è volato negli States per studiare all’Actor’s Studio. Purtroppo l’italianità del film termina alla sua firma: i fondi produttivi vengono da Francia e Spagna perché un film come Escobar: Paradise Lost, duole dirlo, sarebbe impensabile da realizzare entro i nostri confini cinematografici.
Mischiando con intelligenza biografia e fiction, il film racconta la caduta del potentissimo narcotrafficante colombiano Pablo Escobar (Del Toro), a capo negli anni Ottanta del Cartello di Medellin, attraverso gli occhi di un giovane surfista canadese (Hutcherson), colpevole di essersi innamorato della nipote (Traisac): dapprima accolto come un figlio dalla grande famiglia, poi inghiottito in una spirale di avidità e sopraffazioni che, inevitabilmente, sfoceranno nel sangue e nella costituzione di Escobar per sfuggire all’estradizione negli Usa: poco prima di andare in galera, il boss ordina al ragazzo di mettere al sicuro il suo tesoro…
Scritto e diretto con grande mestiere e piglio internazionale, il film è decisamente efficace nella sua formula narrativa che coniuga il biopic a un tesissimo thriller sociale, in cui il vero protagonista non è il nome storico ma un personaggio fittizio che fa da tramite emotivo tra narrazione e spettatore. Ottima, in questo senso, l’interpretazione di Josh Hutcherson, il volto innocente a cui presto verrà sottratto il paradiso, anche se si guarda sempre con maggior timore al mefistofelico Del Toro, barbuto e ingrassato come un Belzebù di frontiera. E se il film rispetta tutti i luoghi canonici del genere, lo fa sempre con precisa attenzione alla verosimiglianza prima e all’intrattenimento poi. Per essere una prima regia, c’è da levarsi tanto di cappello.
Giuseppe D’Errico
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