RomaFF13 – Selezione Ufficiale: “La diseducazione di Cameron Post”, un film di Desiree Akhavan, la recensione

La diseducazione di Cameron Post (The Miseducation of Cameron Post, Usa, 2018) di Desiree Akhavan con Chloë Grace Moretz, Sasha Lane, Jennifer Ehle, John Gallgher jr, Forrest Goodluck

Sceneggiatura di Desiree Akhavan, Cecilia Frugiuele, dal romanzo omonimo di Emily M. Danforth (ed. Rizzoli)

Drammatico, 1h 31′, Teodora Film, in uscita il 31 ottobre 2018

Voto: 6 su 10

Vincitore del Gran Premio della Giuria all’ultimo Sundance Film Festival, La diseducazione di Cameron Post è il classico prodotto indipendente americano nobilitato da intenzioni encomiabili, cinematograficamente privo di qualsiasi interesse, costruito su misura per far risaltare le doti interpretative fin troppo acclamate di una giovane attrice smaniosa di consacrazione, a fronte di un’attività nel settore di ben oltre un decennio. A dirigere la trasposizione del romanzo omonimo di Emily M. Danforth è la regista newyorkese di origini iraniane Desiree Akhavan, nota nel circuito impegnato per il suo film esordio Appropriate Behavior, del 2014, incentrato sul difficile percorso di accettazione di una ragazza (la Akhavan stessa) in una famiglia persiana, ignara della propria identità sessuale. La sua opera seconda sembra una naturale prosecuzione degli stessi temi, giacché prende ad esame la discutibilissima pratica delle terapie riparative per persone omosessuali.

55117La protagonista, portata in scena a suon di bronci e occhioni serrati da Chloë Grace Moretz, manifesta la propria mascolinità sin dal nome di battesimo, tanto che la perfida aguzzina (una spettrale Jennifer Ehle) che vorrebbe raddrizzarne la psiche nel centro di conversione religioso God’s Promise, le vieta di abbreviarlo con diminutivi ancora più ambigui. Siamo nel Montana, anno 1993, e Cameron viene sottoposta a questo periodo di riabilitazione perché beccata in effusioni inequivoicabili con un’amica durante il ballo di fine anno scolastico. Insofferente alla rigida disciplina e all’assurdità del metodo adottato dai suoi (ri)educatori, la ragazza farà comunella con altri reietti come lei, orgogliosi di poter riaffermare a gran voce la propria identità.

Il film di Akhavan ha due meriti enormi: il primo è l’aver portato all’attenzione pubblica la grettezza di queste “terapie di conversione” che, non solo in America, contano ancora svariati nuclei di azione, nonostante sia stato dichiarato e ribadito dalla comunità scientifica mondiale quanto l’omosessualità non sia una malattia o qualcosa dalla quale si possa “regredire”; in seconda analisi, la regista tratta l’argomento in una storia personale e universale che riesce a farsi seguire in 91 nobilissimi minuti di durata. Lo fa, però, senza lesinare in luoghi comuni, banalità tipiche del percorso di formazione adolescenziale e cadute narrative ampiamente scontate. Una narrazione estremamente canonica, quindi, certamente funzionale allo scopo prestabilito, ma senza alcun colpo d’ala, eccessivamente pudica e fastidiosamente didattica per essere una diseducazione. Un classico film socialmente utile che non aggiunge nulla al mondo della settima arte.

Giuseppe D’Errico

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