RomaFF12 – Selezione Ufficiale: “I, Tonya”, un film di Craig Gillespie, la recensione

I, Tonya (id, Usa, 2017) di Craig Gillespie con Margot Robbie, Allison Janney, Sebastian Stan, Julianne Nicholson, Paul Walter Hauser, McKenna Grace, Bobby Cannavale, Caitlin Carver, Jason Davis

Sceneggiatura di Steven Rogers

Biografico, 2h 01′, Lucky Red

Voto: 8 su 10

La vicenda che, nel 1994, coinvolse la pattinatrice Tonya Harding nell’aggressione alla rivale Nancy Kerrigan sarà per sempre ricordata come uno dei più grandi scandali nella storia dello sport internazionale. Ma chi era Tonya Harding? Un’atleta zotica, priva di educazione e di grazia, ma anche una giovane donna maltrattata negli affetti, costantemente messa alla prova sulle proprie capacità, senza che nessuno credesse in lei, a cominciare da se stessa. Almeno è questo il ritratto che ne viene fuori da I, Tonya, l’iperbolico biopic che le ha dedicato il regista Craig Gillespie (Lars e una ragazza tutta sua), sulla scorta di una formidabile sceneggiatura firmata da un esperto in melodrammi come Steven Rogers (NemicheAmiche, P.S. I love you), che ha riscritto la storia della sportiva più odiata d’America a partire da una serie di incredibili interviste rilasciate dai veri protagonisti.

Figlia della sottocultura degli anni di Reagan, la Harding ebbe un’infanzia da incubo, trascorsa sotto il controllo ferreo di una madre degenere e opprimente (Allison Janney in una performance da applausi), che ne intuì subito il talento naturale sul ghiaccio ma negandole ogni altra forma di amore. Tonya cresce tra botte e umiliazioni contuinue, programmata per essere una campionessa a tutti i costi: ciò che non uccide fortifica, e infatti il calvario trascorso le servirà come difesa durante la lunga e travagliata relazione con Jeff Gillooly (Sebastian Stan), un uomo manesco che diventerà il suo manager. La violenza è all’ordine del giorno, il suo matrimonio sembra ormai una questione di sopravvivenza, ma i pattini non la lasciano mai: nel 1991 è la seconda donna al mondo ad eseguire un triplo axel in una competizione ufficiale, dopo anni passati a non essere presa sul serio come atleta. Poi l’inaspettato crollo, le giurie sportive che non la stimano, il ritorno in pista. Fino a quell’incidente che cambierà per sempre la sua vita.

Tonya Harding è interpretata da Margot Robbie, l’attrice australiana scoperta da Martin Scorsese in The Wolf of Wall Street: la sua prova è entusiasmante almeno quanto lo stile narrativo adottato da Rogers per raccontare questa tragica parabola dell’idiozia umana. Ci sarebbe da piangere, visto e considerato tutto il male che la Harding fu costretta a subire e l’ignoranza dilagante che la circondava; e invece ci si ritrova spesso a ridere, neanche a denti stretti, per la spietata critica sociale di un certo sottoproletariato beota che vive di ipocrisie e falsi miti. La sceneggiatura indovina un registro grottesco quanto mai necessario per non screditare l’effettiva demenzialità del microcosmo allucinante che gravita attorno a questa detestabile, sprovveduta e implacabile anti-eroina dei pattini d’argento, mentre l’apporto di Gillespie è in una regia vorticosa sul ghiaccio e senza un attimo di respiro quando regge il gioco della cine-inchiesta. Ne viene fuori un quadro inquietante e irresistibile dell’America delle grandi illusioni.

Giuseppe D’Errico

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