RomaFF11 – Selezione Ufficiale: “7 minuti”, un film di Michele Placido

7 minuti (Italia/Francia/Svizzera, 2016) di Michele Placido con Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Fiorella Mannoia, Maria Nazionale, Violante Placido, Clémence Poésy, Sabine Timoteo, Ottavia Piccolo, Anne Consigny, Michele Placido, Luisa Cattaneo, Erika D’Ambrosio, Balkissa Maiga, Bruno Cariello, Lee Colbert, Mimma Lovoi, Donato Placido, Gerardo Placido

Sceneggiatura di Michele Placido e Stefano Massini, dall’omonima pièce teatrale di Stefano Massini

Drammatico, 1h 32’, Koch Media, in uscita il 3 novembre 2016

Voto: 3 su 10

Fin dove si è disposti ad arrivare per mantenere il proprio posto di lavoro? A questo angoscioso interrogativo ha provato a rispondere Stefano Massini con una pièce teatrale intitolata 7 minuti, che ha viaggiato per l’Italia con la regia di Alessandro Gassman e l’interpretazione centrale di Ottavia Piccolo. Quel testo è ora diventato un film, diretto da Michele Placido e prodotto, con l’aiuto di finanziamenti esteri, dalla moglie Federica Vincenti. Francamente, il risultato lascia molto a desiderare, specie se si pensa all’importanza del tema affrontato.

53024I 7 minuti del titolo, infatti, sono la posta in gioco per un gruppo di operaie in una fabbrica tessile che è stata assorbita da una multinazionale francese. Sembra che non siano previsti licenziamenti, ma c’è una clausola nell’accordo che la nuova proprietà vuole far firmare al Consiglio di fabbrica, composto da undici donne (Piccolo, Mannoia, Angiolini, Capotondi, Placido, Poésy, Nazionale, Cattaneo, D’Ambrosio, Maiga, Timoteo). Saranno loro a dover decidere per sé e in rappresentanza di tutta la fabbrica, se rinunciare a 7 minuti di pausa al giorno, solo 7 minuti in luogo di un contratto che, per il resto, non subirà nuovi cambiamenti. La più anziana del gruppo si oppone ad avvalorare la proposta, le altre vogliono accettare…

Ora, è indubbia la portata sociale di una storia simile e la rilevanza estrema che investe il mezzo cinematografico nel farsene portavoce. Però, dovrebbe anche essere scontato trattare tali problematiche col massimo rigore possibile, proprio in virtù del grave impatto che hanno sul pubblico. Massini, per il suo spettacolo, ha attinto da uno schema narrativo che ha fatto scuola, quello che Reginald Rose scrisse per La parola ai giurati di Sidney Lumet; Placido inevitabilmente deve tenerne conto, cercando anche di ritrovare le atmosfere del thriller psicologico, senza rincorrere troppo modelli come Laurent Cantet, Loach o i fratelli Dardenne, che pure hanno spesso trattato vicende simili.

Purtroppo, il linguaggio teatrale è altra cosa rispetto ai meccanismi cinematografici: azioni che sul palcoscenico hanno un senso, sul grande schermo stridono terribilmente col realismo assoluto che un episodio come questo, ispirato a un vero caso avvenuto in Francia, richiederebbe. Ne viene fuori una pantomima piena zeppa di isterismi e scene madri, infarcita di dialoghi enfatici e situazioni ai limiti del credibile. Il problema non è dato dalla recitazione, anche piuttosto efficace, delle attrici, ma proprio dall’impostazione drammaticamente artefatta che direzione e scrittura hanno adottato. A farne le spese è una nobile causa, che forse avrebbe meritato un regista meno ridondante di Placido per essere sostenuta da una giusta sobrietà.

Giuseppe D’Errico

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