“Rain Man” a teatro: un falso d’autore.

titolo: RAIN MAN
regia: Saverio Marconi
Produzione: Compagnia della Rancia
Prodotto da: Michele Renzullo
con: Luca Lazzareschi, Luca Bastianello, Valeria Monetti, Gian Paolo Valentini, Irene Valota, Beppe Chierici

Voto: 6½ su 10

Sarebbe da 8 questo allestimento curato nei minimi dettagli, dall’intelligente ed elegante scenografia, al buon lavoro di regia, all’ottima interpretazione sia di Luca Lazzareschi nei panni di Raymond Babbit che di Luca Bastianello in quelli di suo fratello Charlie. Bastianello, inoltre, fa davvero impressione perché sembra un sosia di Tom Cruise (interprete del medesimo ruolo sul grande schermo), uguale a lui in tutto e per tutto, a partire dall’aspetto fisico (capelli, corporatura) alla mimica e uso del corpo (si è forse ispirato un po’ troppo allo stile recitativo della Star Americana?) per finire alla voce, identica a quella di Roberto Chevalier (doppiatore italiano di Cruise). Scelta sicuramente voluta e perseguita con chissà quale duro lavoro di casting. Ed è qui che iniziano i guai: a che scopo? L’allestimento altro non si rivela che un calco esatto dello straordinario film del 1988, che strappò ben 4 premi Oscar all’Academy. Due ore e un quarto di spettacolo dignitoso per la confezione ma noioso, senza sorprese, senza emozione, che pongono un interrogativo fondamentale negli spettatori: che senso ha un’operazione del genere?  Se il riadattamento per il Teatro non è fatto con criterio e attenzione drammaturgica, meglio rimanere a casa a guardarsi il film, no? Perché tanto sacrificio, tanto sforzo (con chissà quale esborso economico per pagarne i diritti) per lanciare sulle scene italiane un titolo che si rivela essere un copia/incolla dalla sceneggiatura originale di Ronald Bass e Barry Morrow? A meno che non siate interessati al gioco ludico di scoprire come una valida scenografia possa risolvere i limiti spaziali propri del palcoscenico, sarà difficile essere coinvolti da questa messa in scena di “Rain Man”. Ennesima furba operazione di marketing partita dall’America (l’ infelice adattamento, che non si interroga minimamente sulle differenze di comunicazione fra teatro e cinema, è di Dan Gordon) e approdata qui da noi che, per quanto se ne dica, abbiamo una grande sensibilità rivolta alla parola e al testo teatrale e siamo sufficientemente colti da riconoscerne subito un falso d’autore. A voi decidere se accettarlo o scartarlo. 6 e ½, non di più, in rispetto alla Compagnia della Rancia.

Andrea Ozza

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