“Old times – Vecchi tempi” di Harold Pinter, uno spettacolo di Michael Rodgers, la recensione

OLD TIMES – VECCHI TEMPI
di Harold Pinter

traduzione di Alessandra Serra
regia Michael Rodgers
con Christine Reinhold, Lisa Vampa, Marco S. Bellocchio
creative consultant Robert Castle
scenografia Mauro Radaelli
costumi VerdeLilla e Maurizio Baldassari
assistente alla regia Gianpiero Pitinzano
light design Claudio De Pace
Scene Ferrante Aporti
Illustratore Roberto Ronchi
Grafica Veronica Woolf
Musica originale ‘Lui e Lei’ di Piero Umiliani
Produzione Teatro Primo Studio – Film Beyond

In scena al Teatro dei Conciatori dal 2 al 14 maggio

Voto: 6 su 10

Dichiara l’aderenza alla visione drammaturgica di Pinter fin dall’essenziale scenografia, sulla quale è impresso nome del drammaturgo e titolo dell’opera, questa regia teatrale di Michael Rodgers, in scena al Teatro dei Conciatori di Roma fino al 14 maggio.

Siamo in un interno borghese di scarna essenzialità, due divani coperti da bianchi teli, uno di fronte all’altro, e un tavolino sul quale sono disposte alcune bevande: una coppia – lei Kate, lui Deeley – attende l’arrivo di Anna, che con Kate condivise, anni addietro, un modesto appartamento nella Londra del dopo guerra e gli anni più vivaci di una gioventù ormai lontana nel tempo.

OldTimes_locandina_Conciatori_RomaDeeley attende l’arrivo dell’amica della moglie, e interroga, con morbosità crescente, la propria compagna sul legame che la univa a quell’estranea che improvvisamente si palesa, e con la violenza della nostalgia vomita ricordi che costringono l’uomo a immaginare un passato ben diverso da quello che riteneva di conoscere, ridefinendo il perimetro delle memorie e delle reciproche identità.

Kate lascia che il consorte ed Anna consumino un gioco ambiguo fatto di rivalità e di attrazione, muovendosi sulla scena silenziosa, scalza, presenza fantasmatica e  fuggevole come il fumo delle sigarette che incessantemente consuma.

“Old times – Vecchi tempi” è rappresentazione fedele del testo del premio Nobel Harold Pinter, e in quanto tale si giova di una trama complessa e affascinante, ragionamento a tutto tondo sui temi dell’identità, del desiderio e del tempo ormai trascorso che, vero o immaginato che sia, torna reale quando trova nel racconto dei presenti una narrazione che ne riporta alla vita tanto i fasti quanto le terrene miserie.

Se è vero che la complessità di tali temi non ha bisogno per essere raccontata da particolari orpelli o superflue artificiosità sceniche, l’essenzialità di questa rappresentazione di Rodgers lascia spazio al sospetto di un minimo impegno nella produzione della piéce, che si riflette anche nelle prove recitative dei tre attori sul palco: Christine Reinhold aderisce all’evanescenza del suo personaggio con asettica arrendevolezza, Lisa Vampa ritrae una Anna di monodimensionali entusiasmi mentre Marco S. Bellocchio è il solo che sembra poter offrire al proprio personaggio maggiori sfumature interpretative, combattuto tra desiderio, rabbia e disperante frustrazione.

Il testo di Pinter avrebbe forse meritato una traduzione più coraggiosa, ma non per questo lo spettacolo al Teatro dei Conciatori di Roma non vale – comunque – una meditata visione.

Marco Moraschinelli

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