“Non si uccidono così anche i cavalli?” di Horace McCoy, uno spettacolo di Giancarlo Fares, la recensione

NON SI UCCIDONO COSÌ ANCHE I CAVALLI?

Traduzione Giorgio Mariuzzo, adattamento Giancarlo Fares
Tratto dall’omonimo romanzo di Horace McCoy

con Giuseppe Zeno e Sara Valerio
e con Donato Altomare, Brian Boccuni, Alberta Cipriani, Giancarlo Commare, Vittoria Galli, Alessandro Greco, Salvatore Langella, Elisa Lombardi, Maria Lomurno, Matteo Milani, Pierfrancesco Scannavino, Lucina Scarpolini, Viviana Simone

con la partecipazione live del Piji Electroswing Project
Piji- voce, chitarra, Gian Piero Lo Piccolo – clarinetto, Egidio Marchitellli – elettronica & chitarra, Francesco Saverio Capo – basso, Andy Bartolucci – batteria

Regia di Giancarlo Fares

Coreografie Manuel Micheli, canzoni originali di Piji, scene Fabiana Di Marco, costumi Francesca Grossi, disegno Luci Anna Maria Baldini, assistente alla Regia Claudia Fontanari, direttore tecnico Anna Maria Baldini, datore Luci Aurelio Rizzuti, fonico di sala Riccardo Caratelli, fonico di palco Gabriele Boccacci, macchinista Giuseppe Spagnuolo, sarta di scena Francesca Grossi

Produzione O.T.I. – Officine del Teatro Italiano

In scena al Teatro Sala Umberto di Roma dal 25 settembre al 14 ottobre 2018

Voto: 4 su 10

Era la prima volta nella mia vita di attrice che lavoravo su un film che affrontava grandi tematiche sociali […] Non si uccidono così anche i cavalli? era un racconto esistenzialista, che usava una maratona di danza del periodo della Grande Depressione come metafora dell’avidità e della manipolazione della società dei consumi americana. L’intera storia si svolgeva in una sala da ballo sul molo di Santa Monica, un luogo che aveva fatto parte della mia infanzia, dove le maratone di danza si erano tenute davvero. Durante la Depressione i concorrenti, nella speranza di vincere un premio, ballavano finché non crollavano letteralmente a terra dalla spossatezza, mentre folle di spettatori sistemati su gradinate applaudivano le loro coppie preferite e trepidavano vedendo i ballerini cascare, cadere in preda alle allucinazioni, impazzire: come il pubblico del Colosseo alla vista dei cristiani dati in pasto ai leoni. Ogni tanto veniva indetta una corsa lungo il perimetro della sala da ballo, in modo da sfiancare i concorrenti e accelerare le eliminazioni. Dopo varie ore i ballerini avevano diritto a una pausa di dieci minuti, e poi tornavano sulla pista. […] Per me il film fu una svolta decisiva, tanto sul piano professionale quanto su quello personale. Sydney (Pollack, nda), essendo stato attore a sua volta, è un meraviglioso direttore di attori, e con la sua guida esplorai il personaggio e me stessa più in profondità di quanto non avessi mai fatto, e acquistai sicurezza come attrice.

La testimonianza di Jane Fonda, tratta dalla sua autobiografia “La mia vita finora”, edita da Mondadori nel 2005, fornisce non solo dati sufficienti a suggerire la straordinaria importanza dell’opera cinematografica diretta dal compianto Sydney Pollack nel 1968, ma qualifica anche un periodo storico in cui lo spettacolo era l’unica droga in grado di oscurare la famigerata crisi economica americana del 1929; non ultimo, inquadra un personaggio, e un’interpretazione, indimenticabili quanto il film. La sceneggiatura era firmata da Robert E. Thompson e James Poe (che si era già misurato abilmente con i rischi delle riduzioni cinematografiche con Il giro del mondo in 80 giorni e La gatta sul tetto che scotta), a partire da un romanzo dalle tonalità noir che Horace McCoy diede alle stampe nel 1935. 

Non è la prima volta che Non si uccidono così anche i cavalli? viene riadattato per il teatro: qualche anno fa fu Gigi dall’Aglio a curarne una efficace riduzione con l’Ensemble Attori Teatro Due e gli attori-danzatori di Balletto Civile. La nuova versione, premio come miglior spettacolo al 52° Festival Teatrale di Borgio Verezzi, è di Giancarlo Fares, reduce dal successo di Le Bal – L’Italia balla dal 1940 al 2001. Come in quel caso, anche stavolta il palcoscenico è animato dalla bravura di tanti giovani attori e ballerini, impiegati in numeri coreografici di grande presa e sempre pronti ad ammiccare al pubblico in sala. Il colpo d’occhio è certamente assicurato, ma francamente sfugge il senso di un’operazione che ha davvero poco in comune rispetto alle intenzioni dell’opera originale e che si risolve banalmente in una vetrina per le capacità performative dei suoi interpreti.

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La necessità di avere un nome di peso in locandina è colmata dalla presenza di Giuseppe Zeno, che eredita il ruolo di imbonitore viscido che al cinema vide un Gig Young da Oscar. All’attore napoletano, decisamente in parte, è affidato il compito di passare in rassegna le sette coppie di danzatori che, nella stremante maratona, cercheranno di resistere in qualche modo alla fatica per assicurarsi la vittoria. Dato che il protagonista dell’allestimento è lui, deve anche misurarsi con pesanti e didascalici monologhi, costruiti ad hoc nella speranza di infondere spessore drammatico a una scrittura in cui, come si legge nelle note di regia, “la narrazione procede su un doppio binario: le parole e le azioni degli attori ballerini che si muovono sul palco”. Qui c’è la prima grandissima contraddizione dello spettacolo, giacché dei quattordici partecipanti alla gara, l’unica ad avere raramente voce (che non vuol dire avere una propria storia), anch’ella per mezzo di soliloqui ideati e recitati secondo la più obsoleta filodrammatica, è Gloria, ossia il personaggio costruito mirabilmente da Jane Fonda, al centro della tragedia umana che muoveva il film, colei che ne impersonava ogni tensione e che ne riassumeva il più profondo senso metaforico e satirico.

Nella riduzione di Fares, però, c’è solo la superficie più levigata del malessere che scavava nei concorrenti, Gloria è solo una sterile portavoce di illusioni alla quale viene anche negata la salvezza dell’atto estremo finale, mentre tutti continuano a ballare e ammiccare, ammiccare e ballare, tra luci sgargianti, costumi lindi e pinti, musiche strepitose (un plauso alla Piji Electroswing Project) e coreografie inappuntabili. Ma dov’è la stanchezza, dov’è la disperazione, dov’è la miseria umana di questa corrida ante litteram, dov’è l’apologo sull’orrore del reale che tutto spreme nell’arena degli istinti più bassi, che tutto fagocita in onore del guadagno…?

Di Non si uccidono così anche i cavalli? in questo spettacolo non c’è assolutamente nulla, se non la “convinzione che tutto si possa raccontare con ironia e leggerezza”. Altra odiosa contraddizione: quest’opera non può permettersi di narrare una storia drammatica “conducendo il pubblico per mano, facendolo sorridere e divertire, innamorare e sognare”, affatto! Non si uccidono così anche i cavalli? è un pugno nello stomaco, un grottesco cupio dissolvi dell’intrattenimento di massa e non, appunto, intrattenimento di massa. Davvero imperdonabile.

Giuseppe D’Errico

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