“Napoli velata”, un film di Ferzan Ozpetek, la recensione

Napoli velata (Italia, 2017) di Ferzan Ozpetek con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Beppe Barra, Anna Bonaiuto, Luisa Ranieri, Lina Sastri, Isabella Ferrari, Maria Pia Calzone, Loredana Cannata, Antonio Grosso, Biagio Forestieri, Carmine Recano, Angela Pagano, Maria Luisa Santella

Sceneggiatura di Gianni Romoli, Valia Santella, Ferzan Ozpetek

Drammatico, 1h 53′, Warner Bros. Entertainment Italia, in uscita il 28 dicembre 2017

Voto: 4 su 10

Da qualche anno a questa parte, Ferzan Ozpetek s’è perso sotto il peso delle sue stesse ambizioni. Che ne è stato del regista acuto e brillante de Le fate ignoranti e Mine vaganti? Difficile dirlo, alla luce delle sue ultime opere, asfissiate da una presunzione autoriale che ha toccato l’apice con l’indigesto Rosso Istanbul, tratto dal romanzo omonimo dello stesso Ozpetek. Nell’ultimo Napoli velata, l’accoppiata tra il cineasta italo-turco e la fiammeggiante e misterica capitale campana, sulla carta, aveva una sua indiscussa attrattiva, senza contare il richiamo garantito dal ricchissimo cast riunito per l’occasione, che vede Giovanna Mezzogiorno, nuovamente diretta dal regista a 15 anni da La finestra di fronte, affiancata dall’attore del momento Alessandro Borghi e da uno stuolo di grandi attori partenopei come Beppe Barra, Anna Bonaiuto e Lina Sastri.

locandinaIl prologo d’epoca richiama a Ombre malesi, a Mildred Pierce e al grande melodramma a tinte noir della Hollywood classica, poi l’inquadratura vorticosa della scalinata elicoidale di Palazzo Mannajuolo cita De Palma e riporta all’inconscio, a uno sguardo scrutatore e impudico che introduce lo spettatore alla messa in scena del “parto del femminiello” e all’incontro rapsodico tra l’inasprita Adriana (Mezzogiorno) e lo sfrontato Andrea (Borghi), corpi che si penetrano e si perdono nella fugacità di una sera. L’indomani, la scoperta di un cadavere sfigurato farà sprofondare Adriana in una spirale di angoscia e persecuzione…

Molto si è detto della lunga e appassionata scena di sesso tra i due protagonisti, forse solo leggermente compiaciuta ma, in fin dei conti, bella e pertinente col racconto. I problemi veri di Napoli velata vengono da lì in poi, da quando il delirio autolesionista del personaggio femminile costringe la storia a continui voli pindarici nel thriller: è in questo frangente che la sceneggiatura, persa ogni verosimiglianza, sbanda clamorosamente nella telenovela più sfrenata, in un pasticcio fatale di macchiettoni inguardabili, segreti di Pulcinella e impennate oniriche a dir poco risibili. La scontata banalità delle rivelazioni fa il paio con la presunzione di Ozpetek di voler raccontare una città attraverso un coro di personaggi, invero, pretestuosi e senza nulla da dire, ed ecco allora che il regista inquadra arredi, tappezzerie e tendaggi, in una sorta di trance antonioniana, nella speranza che a parlare siano le vuote immagini, ma neanche dal folklore della santona allettata o dalla tombolata tra vecchi dementi riesce a ottenere un po’ di pathos.

Numeri, simboli esoterichi e chimere sfuggenti lasciano il tempo che trovano, perché la visione che il regista ha del genere è obnubilata dal velo della tracotanza artistica fine a se stessa. Tutto il film è smanioso eppur vago, tanto bollente nelle intenzioni quanto algido e prefabbricato nel suo processo, fino a esprimersi quasi unicamente come una vetrina fumosamente kitsch per i suoi interpreti. Dimentichiamo Napoli.

Giuseppe D’Errico

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