“Miseria e nobiltà 2.0” di Edoardo Scarpetta, uno spettacolo di Giuseppe Miale Di Mauro

MISERIA E NOBILTÀ 2.0
di Edoardo Scarpetta

riscrittura e regia Giuseppe Miale Di Mauro
adattamento di Antonio Guerrieri
con Francesco Procopio, Antonio Grosso
e con Francesca Annunziata, Philippe Boa, Maria Chiara Centorami, Antonio Friello, Maria Lauria, Stefano Miglio, Luana Pantaleo, Antonello Pascale, Federica Pizzutillo, Alfredo Procopio, Andrea Vellotti
Scene di Luigi Ferrigno
Costumi Giovanna Napolitano
Luci di Luca Palmieri

In scena al Teatro Ghione di Roma fino al 7 gennaio 2017

Voto: 6 su 10

I classici sono tali perchè non invecchiano (non passano mai di moda, si direbbe), perché raccontano di un quatidiano sempre attuale e riflettono su dinamiche sociali che neppure il tempo può scalfire. Miseria e nobiltà di Edoardo Scarpetta, oltre a essere un classico per eccellenza del teatro italiano, fa parte anche del patrimonio culturale del nostro paese. Giuseppe Miale Di Mauro, insieme ad Antonio Guerrieri, l’ha riscritto e riadattato sui luoghi e i bisogni di questa nostra triste epoca, dimostrando come il senso dell’opera sia ancora fortemente vivo. 

Dimentichiamo fotografi e scrivani, i nuovi protagonisti di questa riproposta 2.0 della commedia napoletana sbarcano il lunario facendo punture a domicilio (come la Magnani in Bellissima, i vecchi mestieri non tramontano mai) e vendendo stampe per strada. Non c’è più fame di pane, di spaghetti col sugo di salsiccia e di mozzarella che fa la goccia, ma di estetista, di telefonini cellulari all’avanguardia e di cucina gourmet: pur di essere al passo con l’omologazione generale si fanno anche i debiti. I poveri annaspano nei loro desideri, i nuovi ricchi cercano una possibilità di affermazione. Poi arriva l’occasione della finzione, il travestimento sotto lauta ricompensa: vuoi vedere che i poveri cristi sanno anche parlare l’italiano?

Nonostante l’infallibile congegno comico a disposizione, però, lo spettacolo di Miale Di Mauro non risulta mai irresistibile. L’aggiornamento contemporaneo è facile e superficiale, più vicino allo spirito “cafonal” che animava un film come Poveri ma ricchi che non alla poesia del teatro di Scarpetta. Convince poco anche l’insistitenza con cui si vorrebbero presentare le due famiglie, costrette a condividere lo stesso tetto, sotto una luce melodrammatica: l’intenzione non viene mai adeguadatemnte sfruttata ed è limitata solo al suggerire un’inquietudine, anche grave, che stona con l’aspettativa umoristica della storia. Le risate sono garantite dall’impegno e dalla passione di uno splendido stuolo di attori sul palco, capitanati da Francesco Procopio e Antonio Grosso, eppure una sensazione di incompiutezza permane.  Ogni riscrittura è rischiosa, questa più di altre: il risultato è dignitoso, ma forse avremmo gradito di più questa squadra di interpreti alle prese con il testo originale.

Giuseppe D’Errico

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