“L’uomo di neve”, un film di Tomas Alfredson, la recensione

L’uomo di neve (The Snowman, GB, 2017) di Tomas Alfredson con Michael Fassbender, Rebecca Ferguson, Charlotte Gainsbourg, Val Kilmer, Chloë Sevigny, J.K. Simmons, David Dencik, Toby Jones, James D’Arcy, Michael Yates

Sceneggiatura di Peter Straughan, Hossein Amini, Søren Sveistrup dal romanzo omonimo di Jo Nesbø (ed. Piemme)

Thriller, 1h 59′, Universal Pictures International Italy, in uscita il 12 ottobre 2017

Voto: 4 su 10

Quanto ci mancano i bei vecchi thriller di una volta! Che nostalgia se ripensiamo all’eccitazione provata con i film di Alan J. Pakula e Peter Yates, e soprattutto che imbarazzo nel ricordare le critiche feroci che ricevettero all’epoca film oggi irripetibili come Suspect, Malice e Il rapporto Pelican. Forse prima rimpiangevano il cinema di Hitchcock, ma oggi vorremmo tanto tornare a vedere anche i dignitosissimi e intriganti gialli degli anni Novanta. Perché ormai il genere è a stretto appannaggio della serialità televisiva e, quella rara volta che riesce a godere della sala, resta soffocato in produzioni altisonanti e fatue come questo L’uomo di neve, trasposizione dell’acclamato best seller omonimo di Jo Nesbø, diretta dal regista de La talpa e Lasciami entrare, lo svedese Tomas Alfredson.

TSM_INTL_TSR_DGTL_1_SHT_ITAUn manieratissimo e barcollante Michael Fassbender interpreta il detective Harry Hole, capo di una squadra speciale della polizia di Oslo dedito alla bottiglia, che investiga sulla morte di una giovane donna avvenuta dopo la prima nevicata d’inverno. Lo affianca l’altrettanto problematica recluta Katrine Bratt (Rebecca Ferguson), mentre un biglietto anonimo lascia intendere l’operato di un serial killer che, forse, è collegato a delitti irrisolti che gravano sul passato di qualcuno…

Della saga creata dallo scrittore norvegese e dedicata al personaggio di Harry Hole, L’uomo di neve è il settimo romanzo, scelto per inaugurare un nuovo possibile franchise cinematografico; avrebbe dovuto dirigerlo Martin Scorsese, poi sopravvissuto in veste di produttore esecutivo e in qualche modo presente nel montaggio della sua storica collaboratrice Thelma Schoonmaker. Probabilmente, però, il padre di Mean Streets e The Departed non avrebbe approvato un solo foglio della sceneggiatura di Peter Straughan, Hossein Amini e Søren Sveistrup, zeppa com’è di elementi appena abbozzati e decisamente confusionaria nello sviluppo della trama.

Se gran parte del racconto non brilla per limpidezza narrativa, è con l’avvicendarsi delle conclusioni finali che il film perde completamente di credibilità, affondando tra colpi di scena mal congegnati e uno scontro decisivo di assoluta ridicolaggine. Restano sullo sfondo personaggi abbandonati a loro stessi (Gainsbourg, Simmons, Jones, Kilmer) e tanti piccoli segnali d’atmosfera purtroppo sprecati nella più generale attenzione al gelo climatico della location. Eppure Alfredson, in passato, aveva dimostrato di sapersi muovere bene tra la neve e il mistery: qui procede senza bussola, come intontito e del tutto inerme nei confronti di uno script disorganico e fatalmente privo di tensione narrativa. Resta il mestiere della macchina hollywoodiana, ma stavolta davvero non basta.

Giuseppe D’Errico

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