“L’altra metà della storia”, un film di Ritesh Batra, la recensione

L’altra metà della storia (The Sense of an Ending, GB, 2017) di Ritesh Batra con Jim Broadbent, Charlotte Rampling, Harriet Walter, Billy Howle, Freya Mavor, Joe Alwyn, Emily Mortimer, James Wilby, Matthew Goode, Michelle Dockery

Sceneggiatura di Nick Payne, dal romanzo “Il senso di una fine” di Julian Barnes (ed. Einaudi)

Drammatico, 1h 48′, BiM, in uscita il 12 ottobre 2017

Voto: 6 su 10

Riduzione cinematografica dell’apprezzato romanzo di Julian Barnes Il senso di una fine, il film di Ritesh Batra è soprattutto l’occasione per riunire sul grande schermo due splendidi attori come Jim Broadbent e la sempre eterea e magnetica Charlotte Rampling. L’altra metà della storia è un canto sofferto dei ricordi giovanili che trasforma il flusso di coscienza della matrice letteraria in una costruzione drammaturgica più tradizionale, con salti temporali tra passato e presente e più di un debito verso il meccanismo narattivo di un altro celebre romanzo, Espiazione di Ian McEwan, divenuto a sua volta un gran bel film nelle mani di Joe Wright.

locandinaIl regista indiano di Lunchbox e del veneziano Our Souls at Night non ha la stessa originalità nel maneggiare la materia, ma la accarezza con discreta eleganza: Tony Webster (Broadbent) è un settantenne divorziato in pensione, che conduce una vita tranquilla dividendosi tra i corsi preparto della figlia incinta e il suo negozietto di macchine fotografiche d’epoca. La sua esistenza subisce uno scossone quando, dopo la morte della madre della sua prima fidanzata,Veronica, eredita il diario tenuto dal suo migliore amico Adrian, ai tempi dell’università: in quelle pagine si nasconde la testimonianza di un’azione dagli effetti devastanti per le vite di tutti, che forse Tony aveva inconsciamente rimosso per proteggersi dal suo sbaglio. Ora il diario è nelle mani di una Veronica invecchiata (Rampling), che lo costringe a misurarsi col suo passato.

La sceneggiatura di Nick Payne riscrive il viaggio a ritroso per recuperare la memoria di una colpa sepolta dal tempo, assecondando le regole della narrazione più classica e sacrificando inevitabilmente il senso filosofico del testo di Barnes. Lo spettacolo, per quanto impeccabile nella forma, è anche assai rigido nell’elargire emozioni, assestandosi in una dignitosa medietà che non lascia il segno. La recitazione dei due interpreti principali, però, è tutta da godere.

Giuseppe D’Errico

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