“La voix humaine” di Poulenc e “Cavalleria Rusticana” di Mascagni, uno spettacolo di Emma Dante

LA VOIX HUMAINE di Francis Poulenc e CAVALLERIA RUSTICANA di Pietro Mascagni con la regia di Emma Dante e la direzione d’orchestra di Michele Mariotti.

In scena al Teatro Comunale di Bologna fino al 18 aprile

Voto: 9 su 10

Due atti unici che mai prima d’ora si erano visti accostati. A unirli un sottile filo rosso, il viaggio verso i sentimenti, quelli non corrisposti, quelli che logorano e che fanno uscire di senno, quelli tormentati e struggenti. Infatti, sia ne La voix humaine di Francis Poulenc e Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, emerge la disperazione provocata dall’amore non corrisposto, della difficoltà delle relazioni che traccia anche un intrigante affresco dell’animo umano. Questo inedito dittico, in prima assoluta al Teatro Comunale di Bologna dal 9 al 18 aprile ha altri due protagonisti d’eccellenza che suscitano curiosità e interesse: Emma Dante, che di questo lavoro ha curato la regia e Michele Mariotti, Direttore d’orchestra tra i più apprezzati nel panorama musicale italiano.

Il primo atto vede una strepitosa Anna Caterina Antonacci, protagonista della tragédie lyrique composta nel 1958 da Poulenc, tratta dalla piéce omonima di Jean Cocteau, autore anche del libretto. Tutto è volto, nel lungo monologo, a raccontare la complicata e difficile fine di una storia d’amore. In scena è presente solo Elle che, con il telefono in mano interpreta la donna che telefona al suo amante. La comunicazione, a causa della difficile ricezione telefonica dell’epoca viene interrotta più volte e lo squillo del telefono diventa sempre più agghiacciante e foriero di cattivi presagi. Sicuramente quest’opera, la cui difficoltà è data anche dai lunghi passaggi di canto senza accompagnamento musicale, si presta per essere eseguita da una grande protagonista, perché l’attrice in scena insieme alla musica sono i principali elementi che denotano tutta l’inquietudine e la trepidazione. Emma Dante, colora quest’opera di bianco e rosa pastello e cura con meticolosa perizia ogni gesto scenico connesso alla musica. La camera d’albergo nella quale inizia la telefonata si trasforma, man mano, in una stanza d’ospedale e, in questo habitat, si consumano gli incubi e le ossessioni di questa donna, prendendo forma attraverso figure che via via si susseguono sul palcoscenico: il suo amante con un’altra donna, medici, infermiere, si palesano in scena, confusi tra realtà e visione oniriche, alle quali la donna si aggrappa, come al filo di quel telefono, ormai reciso, per continuare, con folle pervicacia, a sperare in un amore ormai finito. Anna Caterina Antonacci riesce a dare a questo personaggio tutte le caratteristiche per renderla un’eroina indimenticabile. Con il suo fascino, il suo carisma e con la sua voce che spazia da un timbro cupo, malinconico a uno più sensuale, ingenuo, anche arrendevole fino ad arrivare al tormento assoluto.

voixDopo l’intensa performance del primo atto si passa, alla Cavalleria rusticana, l’opera in un atto unico di Pietro Mascagni, composta su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menaschi e tratto dall’omonima novella di Giovanni Verga. Emma Dante sceglie, in questa occasione, di ripulire l’opera all’osso, togliendo ogni elemento realistico e folkloristico, scegliendo di sottolineare il verismo insito nel libretto per sottrazione, ponendosi proprio come un’osservatrice, quasi una scienziata, in grado di portare alla luce comportamenti e attitudini della società descritta da Verdi attraverso piccoli gesti simbolici (tra tutti quello più evidente è il chiacchiericcio e il continuo spiare ogni azione, che avviene dietro tende, muri, scalinate dietro i quali è sempre nascosto qualcuno). Le scelte registiche di Emma Dante portano a far emergere in modo ancora più evidente alcuni atteggiamenti tipici, creando un pathos, meno evidente, più sotteso e tagliente.

Un lavoro di sottrazione dunque che però, invece di togliere aggiunge. Aggiunge intensità, lirismo. La messa in scena è minimalista. Tutto il palcoscenico è circondato da grandi tende nere, che (s)velano, mascherano, proteggono ma nello stesso tempo permettono di spiare senza essere visti, emblematico è il confronto tra Alfio e Turiddu, la cui cornice è composta solo dalle tende nere dietro le quali si nascondono le donne che origliano cosa sta accadendo. Anche i costumi sono principalmente neri con i veli che velano e disvelano il capo delle donne, gli intrighi, le offese. Unici dettagli folkloristici sono i ventagli tutti colorati e i Cavalli, impersonati da danzatrici acrobate, col pennacchio che accompagnano in pompa magna compare Alfio con il suo carretto. Per il resto sul palco i pochi espedienti scenici riescono, in modo misurato e calibrato, a connotare la storia: elementi mobili compongono, a seconda delle esigenze, l’atrio di una casa patronale, una chiesa, balconi, terrazzi che fanno da sfondo alla tragedia che si sta consumando. Altro dettaglio ricorrente è la sacra rappresentazione della Via Crucis, con un cristo di colore che, a più riprese, entra in scena con gravoso incedere sotto il peso della croce, seguito da Maria e altre figure femminili che alludono in modo piuttosto evidente, anche con un fermo immagine che cercherà di riprodurlo visivamente, al Compianto sul Cristo morto di Nicolò dell’Arca.

Marco Berti, Carmen Topciu e Gezim Myshketa rispettivamente Turiddu, Santuzza e Alfio, protagonisti del celebre triangolo amoroso verista, sono stati convincenti nelle performance sia vocali che sceniche. Meno convincente è la Lola di Anastasia Boldyreva, della quale sia la presenza in scena che la vocalità, non hanno portato nessun valore aggiunto. Mentre invece, il coro diretto da Andrea Faidutti, ha dato una nota di colore e spessore all’opera.

Nel complesso, se si tengono in considerazione gli applausi sul finale e l’affluenza di pubblico, con il teatro pieno e spettatori anche diverso dal solito, sembra che l’operazione sia riuscita.

Amelia Di Pietro

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